Adrian Paci
Vite in Transito
05.10.2013 - 06.01.2014
paci

Un blocco di marmo viene estratto da una cava in Cina, lavorato in mare ad opera di artigiani cinesi a bordo di un’enorme nave-officina e trasformato in una colonna in stile classico. La destinazione è ignota. E’ la nuova opera filmica di Adrian Paci, The Column, un racconto visionario che parla di de-localizzazione del lavoro, trasformazione delle tradizioni e confronto tra culture: una potente metafora con un linguaggio visivo di enigmatica bellezza.

 

Prodotta dallo Jeu de Paume di Parigi, dal PAC di Milano, dal Röda Sten Konsthall di Göteborg e dal Trondheim Kunstmuseum di Trondheim insieme ad altri sostenitori, l’opera è il cuore di una grande retrospettiva che il PAC ha dedicato ad Adrian Paci (1969, Scutari), artista albanese che sin dal 1997 ha scelto Milano come sua città di adozione.

 

Promossa e prodotta da Comune di Milano – Cultura, PAC e CIVITA, la mostra ha inaugurato in occasione della IX Giornata del Contemporaneo indetta sabato 5 ottobre 2013 da AMACI Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiana, di cui il Padiglione milanese è socio fondatore: come da tradizione il PAC ha aperto gratuitamente al pubblico dalle 18.00 alle 24.00. Dal 6 febbraio 2014 la mostra si trasferisce in parte al Musée d'art Contemporain de Montréal, in Canada.

 

Disegno, fotografia, pittura, installazione, video, scultura: la mostra, a cura di Paola Nicolin e Alessandro Rabottini, presentava un’ ampia selezione di opere realizzate dall’artista a partire dalla metà degli anni Novanta fino alla produzione più recente, in un percorso che racconta la varietà di linguaggi che Adrian Paci utilizza nel suo lavoro.
L’artista combina narrazione, rigore formale e riflessione sociale per creare visioni poetiche e problematiche delle trasformazioni politiche e umane. Nelle opere prodotte da Paci all’inizio della carriera, influenzate dal clima culturale che i paesi dell’ex blocco sovietico respiravano dopo la caduta del Muro di Berlino, il tema dell’immigrazione si univa alla riflessione sul ruolo delle immagini nel raccontare le esistenze. A partire da questo nucleo – in cui autobiografia e cultura si sovrappongono – l’artista ha ampliato negli anni i confini reali e metaforici del proprio lavoro, esplorando temi universali come la perdita, il movimento delle persone nello spazio e nel tempo, la ricerca di un altrove umano e geografico.

 

Il titolo Vite in transito è un riferimento ai temi più importanti della produzione artistica di Paci: la figura umana occupa un ruolo centrale nel suo lavoro e diventa fonte di narrazione, immaginazione e speranza, insieme con il motivo del movimento costante, sia quello dei popoli attraverso le frontiere geo-politiche sia quello della memoria personale. In questo universo di significati prendono vita le storie e i personaggi protagonisti delle opere video: i disoccupati silenziosi di Turn On (2004), gli uomini in marcia verso un aereo pronto a decollare in Centro di Permanenza Temporanea (2007); ai volti estatici dei fedeli raccolti di fronte all’icona sacra di pilgrIMAGE (2005), i lamenti della prefica che celebra il passaggio dalla morte alla vita in Vajtojca (2002), la simbiosi tra uomo e animale di Inside the Circle (2011), fino all’artista stesso che entra in contatto con il pubblico stringendo ad una ad una le mani dei presenti in The Encounter (2011).
Nel lavoro di Adrian Paci si contaminano linguaggi differenti: video e film possiedono spesso la sintesi visiva della pittura e vicecersa questa sembra avere il ritmo narrativo del cinema, ricorrendo spesso al formato del fotogramma, al flusso continuo delle immagini, alla struttura in serie. Al PAC erano esposti anche acquerelli, la serie di disegni su carta e le gouaches montate su tela, insieme ad acrilici su bobina di legno.

 

La mostra era arricchita da un’installazione di Giovanni De Lazzari (Lecco, 1977), artista formatosi con Adrian Paci durante gli anni del suo insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Bergamo, che raccontava gli esordi della carriera di Paci e approfondiva la dimensione delle fonti e il loro montaggio all’interno del discorso espositivo.

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