a cura di Germano Celant
 
5 colori, centinaia di metri di carta da parati, migliaia di righe verticali larghe 8,7 cm.
Il PAC diventa un’opera d’arte grazie all’intervento di Daniel Buren, uno dei più grandi rappresentanti dell’arte concettuale.
Blu, giallo, marrone, rosso e verde sono i colori scelti a priori dal curatore Germano Celant, ignaro di come sarebbero poi stati utilizzati all’interno dello spazio espositivo.
Buren decide che i colori si sarebbero succeduti in ordine alfabetico, dalla prima all’ultima sala, e in modo crescente, partendo da terra: 1/5 di blu per la prima sala, 2/5 di giallo per la seconda, 3/5 di marrone per la terza, 4/5 di rosso per la quarta e la quinta tutta verde. In fondo ad ogni sala lascia dei riquadri vuoti o colorati, in corrispondenza delle finestre cieche che si trovano sul muro esterno del Padiglione in via Palestro. All’esterno ogni finestra viene ricoperta da una carta rigata di colore uguale a quello della sala interna corrispondente. Il nero invece è utilizzato per sottolineare (o rivelare) le strutture portanti dell’edificio o per ricoprire gli elementi decorativi già esistenti.
 
Nel corso della sua carriera Daniel Buren ha creato opere che implicano il rapporto tra l’arte e le strutture che la ospitano. Nel 1965 le strisce verticali larghe 8,7 cm diventano punto di partenza per la sua ricerca su cos’è la pittura, come viene presentata e, più in generale, sull’ambiente fisico e sociale in cui un artista lavora. Tutti i suoi interventi sono site specific: una ricerca meticolosa che a tratti può sembrare ripetitiva, ma che invece viene ridisegnata adattandosi perfettamente al luogo. Pochi anni dopo l’intervento al PAC l’artista partecipa alla 42a Biennale di Venezia (1986) aggiudicandosi il Leone d’Oro per il miglior Padiglione Nazionale. Mostre personali gli sono state dedicate dai più importanti musei internazionali e i suoi interventi hanno interessato musei, gallerie e luoghi pubblici in tutto il mondo, tra i più recenti quello a L’Avana (Cuba, luglio 2018).