a cura di Suzanne Landau
La mostra è organizzata dall’Israel Museum di Gerusalemme ed è curata da Suzanne Landau. L’edizione italiana, presentata al PAC, prevede 18 opere tra grandi installazioni di pittura, sculture e fotografie datate fra il 1994 e il 2001. Le opere provengono dall’Israel Museum di Gerusalemme, dalla Stephen Friedman Gallery di Londra, da collezioni private e da musei europei e americani, come la Tate Gallery di Londra e l’MCA di Chicago.
Nato nel 1962 a Londra, Yinka Shonibare è vissuto in Nigeria fino all’età di 18 anni trasferendosi poi a Londra per studiare. Nella sua ricerca si è rivolto con ironia alle tematiche legate all’identità culturale: dal dandy dalla pelle nera agli astronauti e agli alieni vestiti con stoffe a colori pseudo africani, l’artista è alla ricerca dell’elemento provocatorio e destabilizzante, che inneschi la riflessione sulla prospettiva da cui abitualmente si considera il mondo. Nella sua arte non smettono mai di convivere due anime diversissime: quella profondamente africana e quella anglosassone, occidentale.
Le installazioni, spesso spettacolari, prendono talvolta spunto da celebri dipinti europei del XVIII e XIX secolo. Uno dei lavori esposti al PAC, per esempio, ricostruisce in forma tridimensionale di un noto quadro di Jean-Honoré Fragonard, La balançoire, 1767.
I soggetti di Shonibare, guardano spesso, al mondo della moda e del costume, come campo di indagine per rimarcare la contaminazione tra cultura europea ed elementi della tradizione culturale africana: l’artista veste dei manichini con abiti dalla foggia tipicamente occidentale, usando tessuti considerati africani, i batik, che per la loro complessa origine sono la migliore metafora per affrontare criticamente la collisione di due culture. Queste stoffe infatti sono originarie dell’Indonesia e i colonizzatori olandesi sono stati i primi a produrle industrialmente utilizzando la tecnica indonesiana del batik, per poi cercare di rivenderle, senza successo, sullo stesso mercato indonesiano. Divennero invece molto popolari nell’Africa occidentale tanto che, dopo l’indipendenza conquistata negli anni ’60, paesi come il Ghana e la Nigeria le adottarono come simbolo di liberazione dal colonialismo e di affermazione d’identità nazionale. Shonibare le inserisce nei propri lavori, vestendo le sue sculture, con ironia e come strumenti di critica politica.
In altre opere, realizzate con il mezzo fotografico, Shonibare si pone al centro della rappresentazione nelle vesti del Dorian Gray di Oscar Wilde oppure si ispira alla serie A Rake’s Progress di William Hogarth. Il dandy è per Shonibare un leitmotiv, è colui che afferma la sua individualità sfidando il perbenismo della società con il proprio aspetto e atteggiamento.
Ormai noto a livello internazionale, Yinka Shonibare ha presentato nel 1989 a Londra la sua prima mostra personale, per poi esporre presso gallerie private e spazi pubblici in Europa, Stati Uniti, Canada, Sud Africa e Israele. Ha partecipato a importanti esposizioni collettive, come Sensation. Young British Art from the Saatchi Collection (1997) alla Royal Academy of Arts di Londra, oppure Authentic/Ex-centric: Conceptualism in Contemporary African Art nell’ambito della 49° Biennale di Venezia.