Project Room | Nicola Bertasi
LIKE RAIN FALLING FROM THE SKY
11.07 - 10.09.2023
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La Project Room, a cura di Damarice AMAO, ospita il lavoro del fotografo e artista visivo Nicola Bertasi Like Rain Falling from the Sky.

 

Per la sua durata, la sua intensità e la sua mediatizzazione la guerra americana in Vietnam (1961-1975) ha plasmato nel profondo l’immaginario visuale occidentale del secondo dopo guerra. Immediatamente dopo la sua fine, il conflitto resta come specchio delle tensioni del contesto geopolitico dell’epoca - guerra fredda, decolonizzazione, globalizzazione - ma anche della crisi identitaria che attraversa gli Stati Uniti, simbolizzata dai suoi veterani del Vietnam, tragici eroi che ossessionano l’industria cinematografica di Hollywood.

 

Ed ecco che ci sembra di avere visto tutto, ascoltate tutte le voci, fatto pienamente nostro il Vietnam confondendo films, immagini dell’attualità e icone mediatiche.
Cercando di andare al di là di questo immaginario in cui realtà e finzione si rincorrono, Like Rain Falling from the Sky di Nicola Bertasi cerca di tessere un’altra cartografia visuale della memoria, facendo dialogare il passato e il presente di un conflitto che ha marcato nel profondo i territori e i corpi vietnamiti.

 

Schivando le immagini choc del reportage classico, Nicola Bertasi fa la scelta di un tempo lungo necessario per un’inchiesta documentaria e un viaggio introspettivo. Ecco quindi che appaiono i visi e le voci dei protagonisti troppo spesso ridotti al silenzio, le immagini degli archivi che scivolano sulle fotografie contemporanee. Cosi Bertasi fa sua una narrazione fotografica sensibile, poetica e personale come alternativa all’impasse di altri racconti più ufficiali. Detective, storico e flaneur Bertasi assume quell’indispensabile parte di soggettività nel suo viaggio alla deriva fra i luoghi del conflitto vietnamita. Un’ avventurosa esplorazione della memoria che riattiva in lui il ricordo della sua storia famigliare, anch’essa stravolta dalla guerra, molto prima del Vietnam.

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INFO E ORARI
Da martedì a domenica ore 12-19:30, giovedì ore 12-22:30
Lunedì chiuso
Ultimo ingresso 1 ora prima della chiusura
Photo Gallery

Traduzione testimonianze

PHU CAT

Incontro con Mr. Nguyen Dinh Long, 62 anni, residente a Dai An, An Nhon.

Servizio militare tra il 1972 e il 1976. 

 

Secondo Dinh Long, qui la diossina fu irrorata tra il 1971 e il 1972. Dopo il passaggio degli elicotteri «sentivo uno strano odore». Mr. Dinh Long aveva quattro figli, tre maschi e una femmina. Sua figlia è morta nel 1998 e uno dei suoi figli è morto nel 2007 a causa della diossina. «C’è ancora una strada qui nel villaggio. Ogni volta che cammino sento l’odore tremendo della diossina. Gli altri non lo sentono. Mi dicono che non c’è odore. Forse è solo un ricordo, ma io lo sento…». Mr. Dinh Long ha chiesto al governo di intervenire e pretendere denaro dagli Stati Uniti. Vuole che il Vietnam si faccia promotore della causa di risarcimento.

A LUOI

Incontro con Mr. Bui Phuoc Long, 20 anni

 

La sua famiglia vive qui dal 1997. I suoi genitori sono insegnanti. È a conoscenza della diossina sin da quando era bambino. «Il terreno non dovrebbe più essere contaminato, ma ho ancora paura. Ci penso spesso. Mi fido degli agricoltori della zona, quindi mi sento sicuro dei prodotti che mangio». 

Mr. Phuoc Long spera che gli Stati Uniti inviino presto degli aiuti economici.

DA NANG

Incontro con M.me Ngo Thi Khoi, nata e residente a Hoa Khue, Da Nang

 

M.me Thi Khoi è nata qui. È stata testimone degli elicotteri che irroravano diossina. Vive proprio accanto alla vecchia base americana. Secondo lei, solo gli alberi di bambù sono riusciti a mantenere le radici. «Non avevamo cibo e c’era sempre un odore cattivo, pungente». (I veicoli utilizzati per diffondere l’Agente Arancio venivano lavati nel lago Sen, proprio accanto alla casa di M.me Thi Khoi). 

M.me Thi Khoi vorrebbe un aiuto economico, ma crede che ormai non arriverà più. Pensa che lo Stato vietnamita non andrà contro gli Stati Uniti per proteggere gli interessi delle vittime.

BALTIMORA

Justin Halberda, condirettore degli studi universitari della Johns Hopkins University

 

«Quando penso alla guerra americana in Vietnam, penso agli errori. E abbiamo continuato a commettere gli stessi errori per anni. Mandare i nostri soldati in un posto come quello non ha senso… Penso alla reazione della gente negli Stati Uniti, all’opposizione alla guerra. Questo evento ha determinato la nostra politica dagli anni Sessanta, per tutti gli anni Settanta e oltre». Justin afferma che la guerra del Vietnam è stata, in un certo senso, un ritorno all’isolazionismo americano. Un governo che voleva combattere la Guerra Fredda nel Terzo Mondo, invece di condurre una guerra nucleare con l’Unione Sovietica. 

Crede ci fosse una parte dell’America, la gente comune, che diceva: «Non vogliamo essere coinvolti in questa guerra. Perché dobbiamo preoccuparci del Vietnam?».

 

«Nel tentativo di stigmatizzare il movimento pacifista, la destra diceva: “Siete contro i soldati! Odiate i soldati!”. Non era vero. Odiavamo il governo. I soldati erano le tristi vittime del governo». 

Justin Halberda pensa che gli uomini al potere decisero che era nell’interesse degli Stati Uniti proseguire la guerra. Una guerra infinita. Secondo il professor Halberda, il Vietnam non è stato un evento unico e singolare. «Guardate cosa succede in Sud America!». 

Per Halberda la strategia era quella di cercare di estendere la guerra in tutto il mondo, con l’obiettivo per il complesso industriale militare di fare soldi, di sostenere gli “amici del governo” a spese del sangue di persone innocenti. 

«Credo avessero una visione miope di quella che poteva essere l’influenza dell’America nel mondo».

 

«Provo compassione per i veterani. Sono vittime di un governo ingiusto che li ha mandati laggiù. Mio padre è un veterano della guerra del Vietnam anche se, per sua fortuna, non ha dovuto combattere. Ma provo compassione per tutti quelli che sono stati in prima linea. Voglio dire… non è orribile? Devi credere in qualcosa. Sei costretto a credere in qualcosa. Il soldato deve credere nella guerra.