a cura di Thomas Buchsteiner, Otto Letze
Il PAC ospita per la prima volta in Italia la più grande retrospettiva dello scultore americano Duane Hanson.
Attraverso le opere esposte, tutte realizzate tra il 1967 e il 1995, il messaggio dell’artista si codifica nella tridimensionalità dei suoi personaggi, individui non specifici, gente comune colta per strada, un mondo malinconico fatto di disincanto e abbandono, ma che riesce a provocare simpatia e sincera emozione: nei luoghi dell’arte, infatti, i racconti di vita di Hanson permettono di identificarci, a prescindere da quanto siano lontani da noi.
Io non riproduco la vita, faccio una dichiarazione sui valori umani. La mia opera si occupa di persone che conducono un’esistenza di pacifica disperazione. Mostro il vuoto, la fatica, l’invecchiamento, la frustrazione. Queste persone non sanno reggere la competitività. Sono gli esclusi, degli esseri psicologicamente handicappati.
Martin bush, Sculptures by Duane Hanson, Wichita 1985
Duane Hanson per oltre trent’anni si è preoccupato di raccontare la rassegnazione, il vuoto, la solitudine dei ceti medio-bassi americani, traducendo le sue osservazioni in sculture viventi.
"Ma poi ci mettevo sempre dentro un pezzetto di braccio o di naso" così commentava Hanson la propria incapacità di allinearsi alle tendenze artistiche astratte o dell’espressionismo astratto dominanti negli anni della sua formazione.
L’artista crea le sue sculture prendendo a modello casalinghe, operai edili, cameriere, venditori d’auto, custodi, ovvero i rappresentanti dei ceti medi e bassi della società americana, che in queste biografie scultoree evidenziano il “fiato corto” del sogno americano.
Realizza figure a grandezza naturale, partendo da calchi di persone in carne e ossa, sui quali interviene modificandone artisticamente i particolari. La sua ricerca dei soggetti è lenta e accurata, la loro essenza l’ordinarietà. Gli stessi atteggiamenti dei personaggi devono essere naturali, riflettere le loro tipiche attività. Hanson quindi sceglie pose statiche, con il corpo a riposo tra un’attività e l’altra. I suoi soggetti assumono un’aria un po’ sognante, che permette di catturare il loro ripiegamento interiore e la loro malinconia.
Hanson raggiunge il successo internazionale nel 1972 con Bowery Derelicts (1969) e Seated Artist (1971), opere che segnalano definitivamente il bisogno dell’artista di guardare alla vita di tutti i giorni.
Tutt’altro che copie della realtà, come qualche critico ha sostenuto. Duane Hanson ha sempre cercato un effetto realistico che andasse oltre la realtà stessa, curando ogni aspetto in modo quasi maniacale: dall’incidenza della luce che è mutevole allo spessore psicologico che anche una maglietta o una macchina fotografica possono rimandare. Hanson non riproduce la vita, come egli stesso scrive, la sua è una dichiarazione sui valori umani.