PERFORMING PAC. Dance Me To The End Of Love
11.07 - 10.09.2023
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In occasione del trentesimo anno dalla strage mafiosa di Via Palestro, l’edizione di PERFORMING PAC Estate 2023 è dedicata al rapporto tra arte contemporanea e memoria storica: l’idea è di raccontare  - attraverso video, fotografie, installazioni, performance e una piccola mostra “flashback” con i materiali dell’Archivio del PAC - come la pratica e la ricerca artistica contemporanee abbiamo trattato la memoria non in quanto conoscenza della storia fine a se stessa, ma in quanto nesso, significativamente ed emotivamente carico, vissuto fra soggetti e vicende che trascendono la loro singolarità.

 

 

Per questa nuova edizione si parte dalla rilettura della mostra di Christian Boltanski, ULTIME NOTIZIE. Christian Boltanski, curata da Jean-Hubert Martin al PAC nel 2005. Tra le principali chiavi di lettura dell’opera di Boltanski vi è proprio l’analisi del concetto di “tempo”, che inesorabilmente fluisce e in cui la memoria e il ricordo divengono i segni, le tracce, del fragile e instabile passaggio dell’uomo.

 

Il titolo di quest'anno, Dance Me To The End Of Love, è una citazione da una canzone di Leonard Cohen del 1984, brano ispirato al dramma della Shoah. In un’intervista Cohen spiegava: «La canzone è nata sentendo i racconti dei sopravvissuti dai campi della morte. Accanto ai forni crematori, in alcuni lager, un quartetto d’archi era costretto a suonare mentre si consumava questo orrore. Un orrore che sarebbe diventato il destino anche degli stessi musicisti. Suonavano quando i loro compagni morivano». Ma nei versi della canzone il dramma sembra scomparire nella missione salvifica e pacifica dell'arte come veicolo di memoria, capace di essere più forte di ogni crudeltà.

 

Artisti: Maja Bajevic, Yael Bartana, Christian Boltanski, Maurizio Cattelan, Clemencia Echeverri, Miguel Gomes, Douglas Gordon, Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, Giulio Squillacciotti

 

Timeline con ricostruzione avvenimenti della strage di via Palestro: a cura di Simona Zecchi e Marco Bova
INFO E ORARI
Da martedì a domenica ore 12-19:30, giovedì ore 12-22:30
Lunedì chiuso
Ultimo ingresso 1 ora prima della chiusura
Photo Gallery

SOTTOTITOLI VIDEO

MAJA BAJEVIC, Green, Green Grass of Home

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25″ Quindi si usciva, si entrava qui e poi subito a destra c’era il bagno, come un piccolo… così, e poi si continuava e questo era l’ingresso della cucina, con delle finestre che danno sul retro

 

1′ dell’ufficio postale, qui, e si entrava nella stanzetta che i miei nonni usavano come cucina quando ci vivevano; mia nonna aveva i suoi fornelli, ma poi dopo ho cambiato, ho messo questi fornelli nell’altra parte della cucina e gli altri sono rimasti lì per appoggiarci sopra degli oggetti, quindi fondamentalmente questa parte del bagno e questa stanzetta erano lunghe come la cucina e c’era anche una finestrella qui. Perciò le finestre erano qui, e c’era un tavolo per… un tavolo da cucina

 

2′ dove mangiavamo sempre quando eravamo in famiglia, e lì c’era un divano, e il tavolo era lì accanto. Quando mia nonna e mio nonno ci vivevano c’era anche una stufa, di quelle a gas, sì, e c’era una di quelle cose che entravano nel muro, e poi quando si usciva dalla cucina si proseguiva un po’, e poi si entrava in una specie di stanza, con uno spazio…

 

3′ un vestibolo, era come un quadrato e in pratica da lì si entrava ovunque: il gabinetto, la cucina, poi una stanza, la stanza successiva, il bagno e la stanza d’ingresso. Quindi c’era uno spazio come questo. Credo che quello fosse l’ingresso. Quando mia nonna morì creai come delle sbarre di metallo, come quelle che si trovano nelle gallerie per appendere oggetti, e avevo uno specchio, e c’erano le foto e le cose dei miei amici artisti, come quelle di Sascha, per esempio, un mio amico

 

4′ che è morto, e non so dove siano ora. Quindi, in pratica, entravi nella stanza, qui, e questa era la stanza che aveva anche le finestre verso il retro dell’ufficio postale ed era su questo lato, l’appartamento era molto più soleggiato, credo fosse esposto a sud, e l’altro è, o era, a est, non lo so, ma in ogni caso questa era la parte luminosa dell’appartamento. E quando i nonni erano ancora vivi quella era la stanza della nonna, la sua stanza da letto, e il suo letto era qui e sulla parete sopra il letto ricordo che

 

5′ c’era la riproduzione di un quadro degli impressionisti che raffigurava una donna in un campo con un ombrello, non un ombrello, ma un parasole, e raccoglieva fiori, una scena molto romantica. E negli ultimi dieci anni della sua vita mia nonna era malata e stava sdraiata su questo letto, e praticamente si stava consumando, stava diventando sempre più piccola e questo quadro romantico sulla parete sopra di lei era molto assurdo. Quindi c’era un letto in questa stanza e poi c’era un tappeto che ho visto una volta a casa di un amico

 

6′ era esattamente lo stesso, uno di quei tappeti bosniaci, molto tipici, e aveva esattamente gli stessi colori e costava quasi niente. Quindi c’era il suo letto, e poi qui c’era una specie di grande tavolo, e poi qui c’erano le finestre, ancora, e poi dall’altra parte della stanza c’era un altro letto. E io, quando mia nonna morì, usai questa stanza come spazio di lavoro e avevo i due grandi tavoli sotto la finestra e Agin

 

7′ il mio gatto, quando disegnavo o altro, il piacere più grande era quello di entrare, sdraiarsi sul foglio su cui stavo disegnando, come se fossero cose sue, era come un piccolo atelier, e poi quando si usciva, si arrivava di nuovo a questo ingresso, abbastanza grande, e poi la stanza successiva era come, come se si aprisse la porta in questo modo e si entrasse, e si andasse nell’altra direzione, così, e le finestre erano qui,

 

8′ e questa in pratica era la stanza di mio nonno, quando erano ancora vivi, quando lui era vivo, e aveva come un commode, come dite voi, con uno specchio, dove metteva tutto ciò che era importante per lui, tabacco e cose per preparare le sigarette, e c’era una specie di poltrona giallina su cui si sedeva e mi raccontava storie di quando era giovane. E prima di morire ormai aveva la demenza senile, e quindi si svegliava nel cuore della notte e correva nella stanza dove si trovava mia nonna, perché sognava che la Gestapo era lì e che sarebbero venuti a prenderla perché era ebrea e lui nascondeva gli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Comunque,

 

9′ da questa parte c’erano armadi e lì c’erano vecchi vestiti, e nel mezzo c’era anche un grande tavolo dove si mangiava se c’era un ritrovo, se c’erano più persone, e nell’angolo della stanza, qui, c’era una di quelle cassapanche per mettere biancheria e cose per dormire, come cuscini eccetera, e io e mio cugino, quando eravamo bambini, ci nascondevamo in questa cassapanca e ci raccontavamo delle storie

 

10′ e c’era solo un filo di luce che entrava dalla serratura, e quindi quello era il nostro nascondiglio. E poi, se volete continuare, c’era un’altra porta qui ed era la porta per, come direste in francese, la chambre de bonne, noi la chiamavamo la stanza della cameriera, si chiamava così, non so bene perché, infatti non avevano una cameriera, in pratica era come la stanza della cameriera, e procedeva così e poi sul lato aveva come un vetro che in pratica faceva vedere i vicini, però non si vedeva attraverso il vetro,

 

11′ ma comunque dava lo stesso dalla parte dei vicini, e poi si andava, diciamo, all’interno, e credo che coprisse metà dell’altra stanza; era come un contenitore con questo in mezzo, metà era nostra e metà dei vicini. E qui si arrivava alla terrazza, e qui c’era, molto importante nella mia infanzia, c’era questa… c’era questa piccola credenza in cui mio nonno metteva sempre i cioccolatini per noi, e c’era sempre, sempre del cioccolato

 

12′ e tirava fuori sempre qualcosa per noi. Collezionava anche francobolli, e teneva lì anche quelli. E qui si usciva nel garage, che era molto, molto grande. Ed era coperto, e d’estate, quando i miei nonni erano ancora vivi, mangiavamo lì e praticamente si viveva in terrazza, come in un soggiorno che affacciava sulla strada che passa in questo piccolo parco e sulla strada che passa davanti all’edificio.

 

13′ E quando erano ancora vivi c’erano fiori e cose del genere, ma poi ammetto che non me ne sono più occupata, in realtà lì ho sempre voluto fare un atelier con delle vetrate, perché a Sarajevo non c’è molto sole, solo per un paio di mesi. Volevo usare quello spazio, chiuderlo e farci un atelier con la stanza della cameriera. Ma non l’ho usato molto, dopo che sono morti, così… quando se ne sono andati, il soggiorno è diventato la zona in cui vivevo, più o meno, perché l’altra stanza era l’atelier e ci portai alcuni…

 

14′ alcuni dei miei mobili e riarrangiai un po’ lo spazio, perché l’ingresso e la terrazza erano uno di fronte all’altra e quindi c’era come un corridoio, così ho separato con un mobile per libri, e poi c’erano come dei posti a sedere con un tavolo rotondo, un piccolo tavolo rotondo e questo in pratica era tutto, una TV e cose del genere, sì. E poi, quando si usciva dal soggiorno, sulla destra c’era il bagno, ed era piuttosto lungo,

 

15′ lungo quanto il soggiorno, ma non era grande uguale, e c’era una lavatrice, il gabinetto e un lavabo, e una finestra che dava sulla strada, e quando mia nonna è morta abbiamo rifatto molte cose nell’appartamento, come il bagno, l’abbiamo rifatto completamente, ed era tutto in bianco e nero, ed era molto chic, molto bello, perché avevamo anche una grande finestra, e così io, alcune delle persone che vivono nel palazzo ne hanno ricavato una cucina, che può essere una soluzione per un appartamento come questo.

 

16′ Perché il problema dell’appartamento è che è abbastanza grande. E poi quando si esce c’è di nuovo questo ingresso, e qui c’era quella cosa per i soprabiti e cose del genere, sai, e poi continuava un po’ in questo modo. Non so bene, era qualcosa che apparteneva ai vicini, qui così, e si arrivava di nuovo a una specie di porta d’ingresso. Questa in pratica era la pianta.