Project Room | Silvia Giambrone
SEXUALLY EXPLICIT CONTENT
04.04 - 11.06.2023
giambrone mostra PORCO_STILL01

 

La Project Room SEXUALLY EXPLICIT CONTENT, a cura di Diego Sileo, presenta in anteprima la nuova opera di Silvia Giambrone. Un'installazione video molto forte, violenta e disturbante, che racconta un episodio di molestia sessuale subita dall'artista via web.

 

"Ricevere una dick pic - scrive l'artista - oggigiorno sembra non scandalizzare più nessuno. Succede quotidianamente a moltissime persone, uomini e donne, e sembra essere diventato un fenomeno sociale che non desta quasi nessuno scalpore dal momento che, probabilmente, essendo così abituati alle immagini pornografiche, dimentichiamo che fotografie e video di questo tipo sono, a ben vedere, vere e proprie molestie sessuali. Lo stalker che mi ha scritto per più di un anno mi ha mandato 46 video di lui che si masturba, oltre a scrivermi diverse oscenità". Un'opera sicuramente provocatoria, ma che vuole innescare una riflessione più ampia sul potere delle immagini pornografiche nella nostra società, considerandole con maggiore attenzione, soprattutto rispetto all’impatto culturale e relazionale che queste hanno sulla realtà nella quale noi viviamo. La Project Room per il contenuto esplicito delle immagini è vietata ai minori di 18 anni.

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PORCO_STILL01

La Project Room Sexually Explicit Content presenta in anteprima la nuova opera di Silvia Giambrone: un’installazione video molto forte, violenta e disturbante, che racconta un episodio di molestia sessuale subita dall’artista via web. “Ricevere una dick pic,” scrive l’artista, “oggigiorno sembra non scandalizzare più nessuno. Succede quotidianamente a moltissime persone, uomini e donne, e sembra essere diventato un fenomeno sociale che non desta quasi nessuno scalpore dal momento che, probabilmente, essendo così abituati alle immagini pornografiche, dimentichiamo che fotografie e video di questo tipo sono, a ben vedere, vere e proprie molestie sessuali.
Lo stalker che mi ha scritto per più di un anno mi ha mandato 46 video di lui che si masturba, oltre a scrivermi diverse oscenità”. Abbiamo quindi chiesto a diversi intellettuali e scrittori di comporre un breve testo sui video inviati dallo stalker come se questi fossero il corpus di un’opera d’arte e lui fosse un video artista, o anche una riflessione più ampia sul potere delle immagini pornografiche nella nostra società, considerandole con maggiore attenzione, soprattutto rispetto all’impatto culturale e relazionale che queste hanno sulla realtà nella quale noi viviamo.

IL SEGNO DI UNA RESA INVINCIBILE di Davide Enia

Osservando i 46 video in un’unica soluzione, uno dopo l’altro, senza pausa, in una sfiancante maratona che si incunea dentro le possibilità linguistiche del voca- bolario contemporaneo del desiderio, viene da chiedersi, con una domanda che possiede una forza destabilizzante, se l’Autore del corpus di queste opere sia davvero un Artista o se sia piuttosto un più comune stalker. E anche se questa sovrapposizione dei piani di realtà, la confusione tra l’essere un produttore d’arte o un molestatore seriale, fosse uno degli intenti dell’Autore. Per chi osserva questa silloge della masturbazione la sfida è complessa, perché tra dubbi e disgusto ci si ritrova proiettati in terreno minato, in cui le ambiguità del discorso cedono il fianco a nuovi interrogativi.
La monotonia della messa in scena, la reiterazione del gesto, la prevedibilità del coito si configurerebbero come atti e segni funzionali a un salto di pensiero, che vuole portare il discorso alle sue estreme conseguenze, cioè considerare questi video opere d’arte perché è proprio questo, in ultima analisi, il mercato dell’arte nel tempo del capitalismo ipertecnologico: nuovi dispositivi media, i social, il sesso. L’Artista così si troverebbe a mettere in scena e criticare lo stesso Sistema in cui si trova ad agire: in fondo, vive nell’anonimato, come uno stalker qualsiasi, e si limita a consegnare le sue opere a indirizzi di posta privata, come se fossero le strade interne di un centro abitato e lui fosse un writer pronto a segnarne i muri con il proprio tratto. Il nome non conta più, l’anonimato è uno scudo che protegge, il capitalismo trova sempre nuove strade per creare profitti.

 

Resta però da stabilire cosa l’Autore stia comunicando e a chi lo stia comunicando. Quella che ci viene mostrata in ognuna delle 46 opere è l’esposizione ostentata del suo sesso, stretto, stritolato, agitato, chiuso in una inquadratura soffocante che crea un quadro addolorato che, direbbe Giovanni Lindo Ferretti, rappresenta «un’erezione triste, per un coito modesto, per un coito molesto». Tristezza, modestia, molestia: la Sacra Trimurti del desiderio all’epoca dei social. Questi video tendono allo svelamento di un desiderio fallimentare, e che questo accada per scelta o necessità diventa secondario, perché è in questo fondo di miseria persistente che questa operazione si inscrive come metafora ultima del suicidio del desiderio. La reiterazione dello squallido come unica cifra possibile per legare assieme parti distanti dell’esistente, lo squallore come stigmate dello Zeitgeist, i 46 i video come pagine del diario di un fallimento assoluto, senza redenzione perché pienamente accettato.

 

La messa in scena, nel suo essere simile a se stessa in ogni fotogramma, ci svela come queste riprese siano in realtà momenti rubati a un’altra vita, a un’altra esistenza fatta di altre relazioni, di altri impegni, di altra realtà che, ed è questa la vera costante che attraversa tutti i video, sembra pesare come un macigno. E il peso sta tutto lì, nelle inquadrature sfocate che tremano, nella miseria di un medesimo interno spoglio scelto come scenografia, nel sonoro che si dispiega come una sinfonia della abiezione, un tappo che cade, un gemito più simile a una ferita che a una idea di piacere, un rantolo vocale post coito che l’Autore, seguendo pedissequamente la grammatica del porno, non trattiene ma amplifica, perché è così che si deve fare, perché così il Sistema del desiderio dentro cui si muove impone, il piacere va esibito, bisogna mostrarsi appagati, è ciò che il mondo si aspetta da lui. Così, questa smisurata messa in scena della masturbazione, inseguendo gli stereotipi più biechi, celebra la morte del desiderio stesso. Ecco perché resta, durante e dopo la visione, una persistente sensazione di sporcizia, triste come le sdruciture nel pigiama inquadrate impietosamente dalla fotocamera cellulare. Sono segni che mostrano quanto l’Autore sia un soccombente, soprattutto dal punto di vista della costruzione dell’immaginario. Alla fine, quello che questi 46 video ci suggeriscono, a fronte di un desiderio mercificato e succube di regole di mercato, sono domande spietate: Noi chi siamo? Siamo uomini o caporali? Siamo artisti o pervertiti? Le immagini finiscono, il desiderio è assente, lo schermo si spegne e, su un fondo insopprimibile di squallore, le risposte non arrivano.

L’ARTISTA di Maria Luisa Frisa

Grazie al mio cazzo sono diventato artista. Anzi l’artista, come ha detto il critico commentando pubblicamente i video che mi sono fatto col telefonino mentre mi masturbavo. Durante la pandemia avevo mandato i video a una donna che mi faceva sangue, come dice sempre un mio amico quando una gli piace. Prima, quando lo sentivo dire così, mi faceva strano. Ma appena ho visto lei ho capito perfettamente quell’espressione, l’ho sentita dentro di me. Però lei non rispondeva mai ai miei video e io mi chiedevo come potesse rimanere indifferente di fronte a tanta dedizione, come non riuscisse a considerare quei miei invii una specie di carteggio amoroso. Lei adesso, anche lei artista, ma l’ho scoperto solo in seguito, per liberarsi della violenza di quelle immagini, così ha detto, ha deciso di usarle per fare un’installazione in una sua mostra. È successo però che il critico chiamato a vedere questo lavoro per scriverne sia rimasto molto colpito dalla “cruda poesia” che innervava i miei video, e abbia fatto di tutto per conoscermi.

 

Quando ci siamo incontrati ha cominciato a parlare di quanto le mie performance restituissero la terribile solitudine patita dai corpi durante il lockdown. Il dolore dell’assenza. E come quell’inquadratura, sempre la stessa, con minime variazioni, fosse un dispositivo narrativo esplosivo nella dimensione obbligata dello schermo del telefonino. Una sequenza ipnotica e senza scampo. Un gesto ossessivo paragonabile, dice lui, ai rituali sempre uguali che definiscono la perfetta macchina della sopraffazione e del piacere descritta dal marchese de Sade. Può essere vero. D’altronde deve pur esserci qualche ragione per cui sono l’artista che meglio ha rappresentato il lockdown. Mi sta bene. Però lei non mi ha mai risposto.

L’UOMO NEL SEMINTERRATO di Tea Hacic-Vlahovic

I maniaci che si incontrano nella vita sono troppi per ricordarli tutti, ma ogni ragazza ricorda il primo e l’ultimo in cui si è imbattuta. Per me, il primo è stato il Nonno del Treno: stavo tornando a casa da un rave a Zagabria. Non mangiavo e non dormivo da due giorni. Quando mi accorsi che ce l’aveva in mano, non riuscii ad alzarmi e andarmene: colpa della droga e dei suoi effetti. Fuori dal finestrino sfrecciavano gli alberi mentre lui finiva. Il cielo era pietosamente grigio.

 

Gli operai che lavoravano nell’edificio di fronte al mio mi guardavano cambiarmi. Io non sapevo che le mie finestre avessero gli scuri, quindi salutavo quegli uomini con un cenno della mano. Cominciarono ad arrivare email da uno sconosciuto. Diceva che gli piaceva il mio pigiama.

 

A chiudere gli scuri fu un ragazzo che mi ero portata a casa. Erano vecchi, pesanti, di legno. Le email, però, continuarono ad arrivare: attraversavano il buio. Arrabbiato perché mi ero nascosta, mi aveva trovata. Essere seguita fuori dai locali da ragazzi che nemmeno vuoi fa schifo. Quando ho detto ai poliziotti che avevo paura, mi hanno risposto di richiamarli “quando qualcuno si farà male”.

 

Una notte, sentendo i soliti passi, mi girai. Ero esausta. “Se ti do quello che vuoi, poi te ne vai?” Annuì. Lo condussi nel seminterrato e lui mantenne la parola.

L’ARTISTA DEL CORPO di Nina Power

Perché il mio corpo non può essere un’opera d’arte? E se io non dipingessi mai, non scolpissi, non sapessi scrivere musica o poesia? Tutto ciò che ho è vicino a me, sono io. Ogni giorno online vedo una sfilza di corpi, nudi, che si contorcono, fingono, recitano, bramosi di like, imbronciati. Li odio. Odio questi corpi e il loro bisogno di essere ammirati. Così venali, così pubblici. Incuranti di chi li guarda!

 

Quando ti invio le mie opere d’arte, sto dedicando tutto me stesso a un’unica persona. Tu. Il mio corpo è un’opera d’arte, e quando lo muovo penso a te. Certo, la cosa mi eccita, ma solo perché mi emoziona esibirmi per la più squisita delle platee: tu, tu soltanto, solo tu.

 

So che il mio corpo non è perfetto, ma immagino che siamo tutti incrinati dal mondo. So che anche tu sei un’artista, quindi capirai. Capirai il bisogno, la pulsione, di creare. E ancor meglio comprenderai cosa significa essere in contatto con il desiderio, e la sottile linea che ci separa dalle bestie. Certo, tutti giochiamo con questa linea. Quando gioco con me stesso, sto giocando con te. Non sarebbe giusto se solo uno di noi potesse essere artista, non trovi?

LA VOLONTÀ DI ESSERE VISTI di Tamara Tenenbaum

La volontà di essere visti. Una teoria popolarissima dice che lo stupro non c’entra assolutamente con il sesso; in realtà, lo stupro (il desiderio così come lo scopo dello stupro) è l’affermazione del potere. Io non sono tanto d’accordo, perché credo che anche il sesso normale c’entri con il potere, così come ritengo che, prima o poi, lo stupro c’entri con il sesso. Ma in realtà volevo dire un’altra cosa: l’esibizionismo ha a che fare con il sesso, ma anche con la volontà di essere visti. Il desiderio di essere guardati. Proprio come lo stupro e il sesso; anch’essi hanno a che fare con la primordiale volontà di essere visti. Il desiderio di attirare l’attenzione: di far sì che la nostra presenza debba essere riconosciuta a qualunque costo, anche a discapito di chi ci guarda.

 

È terribile, don’t get me wrong, ma c’è qualcosa di commovente in questo bambino che dice guardami guardami guardami guardami guardami mamma guardami. La parola invece non è affatto commovente, ma un misto di disprezzo e tenerezza, qualcosa che somiglia alla compassione. So da dove viene questa tenerezza, la tenerezza che suscita in me, e me ne scuso in anticipo. Io scrivo: non approvo ciò che fa quest’uomo, ma lo capisco.

ESISTONO MOLTI MODI DI VIOLENTARCI di Diana J. Torres

Forse il femminismo ha già fatto tanto nella sua lotta contro le violenze sessuali che spesso le donne subiscono da parte degli uomini. Forse ha già vinto molte battaglie, ma c’è ancora tanta strada da fare e non dobbiamo abbassare la guardia. Esistono molti modi di violentarci e non si limitano solo alla sfera fisica: la violenza include una forte componente psicologica e si può aggredire una persona anche imponendole la visione non consensuale di parti del corpo o atti sessuali.

 

È strano come la società tenda a sottovalutare il fenomeno delle “dick pic”, come se la visione non desiderata di un pene non fosse poi così grave. E invece lo è. Qualsiasi atto sessuale non consensuale è una forma di violenza, anche se vogliamo credere che si tratti di un incidente minore, di un gioco, di qualcosa di cui ridere. Non esiste una gerarchia nella violenza di genere: ogni singolo atto che ci fa soffrire, per quanto piccolo, conta, si somma, si accumula. Ed è da questa trama di violenze “minori” che nascono i femminicidi, fondati sulla stessa logica: il nostro corpo non è nostro ma appartiene al patriarcato, che può fare di noi ciò che vuole.

¡Basta ya! Ora basta!

AUTOEROTISMO E NARCISISMO di Paola Ugolini

Guardando i video di autoerotismo dell’artista ho ripensato a Seedbed, la straordinaria performance dell’americano Vito Acconci (Vito Hannibal Acconci, 1940-2017). Un’opera rivoluzionaria presentata nel gennaio del 1972 alla Sonnabend Gallery di New York dove il pubblico, nello spazio espositivo occupato da un pavimento di legno sotto cui era nascosto Acconci che si mastur- bava, ascoltava le sue fantasie erotiche amplificate da degli altoparlanti.

 

Come in molte altre famose perfor- mance di questo periodo l’idea attorno alla quale ruota questa azione è il coinvolgimento degli spettatori per creare una situazione di interscambio reciproco tra artista e fruitore. L’obiettivo di quella performance in particolare era spargere seme (seed in inglese) e per produrlo Acconci doveva eccitarsi, motivo per cui era necessario per lui decantare ad alta voce le sue fantasie sessuali. Nonostante il parallelo fra queste due opere, entrambe incentrate sulla pratica dell’autoerotismo maschile, la differenza sia qualitativa che perturbante fra i due lavori salta subito all’occhio, anche se ognuna è lo specchio del momento storico in cui è stata creata. L’azione alla Sonnabend aveva un indubbio contenuto erotico e sovversivo ed era figlia dell’ideologia hippy e della libertà sessuale rivendicata dalle ragazze e dai ragazzi di quella generazione che aveva rivoluzionato la società e i costumi. Vito Acconci, pur agendo attivamente con la pratica dell’autoerotismo, non si esponeva allo sguardo del pubblico – che veniva coinvolto solo attraverso il suono – e proprio l’assenza dell’azione stessa, che poteva solo essere immaginata,

BIOGRAFIA

SILVIA GIAMBRONE, che vive e lavora tra Roma e Londra, incentra la sua ricerca sulle forme più sotterranee di assoggettamento utilizzando diversi linguaggi. Vince il Premio VAF 2019. È ambasciatore per Kaunas Città Europea della Cultura 2022.

Alcune tra le sue mostre più significative includono: W Women in Italian Design, Triennale Design Museum, Milano (2016); Corpo a corpo, La Galleria Nazionale, Roma (2017); Terra mediterranea: in action, NiMAC, Cipro (2017); Wall-eyes. Looking at Italy and Africa, Keynes Art Mile, Johannesburg, Sudafrica (2019); VIII Premio Fondazione VAF, Mart, Rovereto (2019); VIII Premio Fondazione VAF, Stadtgalerie Kiel, Germania (2019); Sovvertimenti, Museo Novecento, Firenze (2019); Nobody’s room. Anzi, parla, Museo del Novecento, Milano (2020); Io dico io, La Galleria Nazionale, Roma (2021); Galleria delle Ombre, Dior show FW2021, Reggia di Versailles, Francia (2021); Mascarilla 19 – Codes of domestic violence, LOOP Festival, Fundació Antoni Tàpies, Barcellona, Spagna (2021); Mascarilla 19 – Codes of domestic violence, Castello di Rivoli, Rivoli (2021); Reclaiming and Making: Art, Desire, Violence, Museum Of Sex, New York, USA (2022); Blow-up Arthouse Film Festival, Chicago, USA (2022); INTERTWINGLED – The role of the Rugs in Art, Craft and Design, La Galleria Nazionale, Roma (2022); Fine Arts Festival 2022, Los Angeles, USA (2022); Female Feedback Film Festival, Los Angeles / Toronto, USA / Canada (2022); Mill of performing Art, Larissa, Grecia (2022); San Francisco Arthouse Festival, USA (2022); Accolade Global Film Festival, Los Angeles, USA (2022); Ediplay International Film Festival, Parigi, Francia (2022); London Indie Short Film Festival, Londra, Regno Unito (2022); World of Film International Festival, Glasgow, Regno Unito (2022); Florida shorts, USA (2022); Some things, Nicola Del Roscio Foundation, Roma (2022); Turning Pain into Power, Kunst Meran, Merano (2022); Sensei Tokyo filmfest, Giappone (2023); Tokyo Film Award, Giappone (2023); Reise nach Italien, Goethe house, Roma (2023); You owe me one, Prometeo Gallery, Milano (2023); Cinequest Film & VR Festival, San Jose, USA (2023); Sexually Explicit Content, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano (2023).

COLOPHON

GUIDA ALLA MOSTRA

A cura di
Diego Sileo

Testi
Davide Enia
Maria Luisa Frisa
Tea Hacic-Vlahovic
Nina Power
Tamara Tenenbaum
Diana J. Torres
Paola Ugolini

Guida alla mostra