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YURI ANCARANI

 

a cura di Diego Sileo e Iolanda Ratti

 

Dal 4 aprile il PAC presenta LASCIA STARE I SOGNI la prima mostra monografica in Italia dedicata alla ricerca visionaria e poetica di Yuri Ancarani (Ravenna, 1972), le cui opere nascono da un’originale e accurata commistione fra cinema documentario e arte video. Con lo stesso sguardo lucido e imparziale che contraddistingue da sempre il punto di vista dell’artista, l’esposizione si propone di far emergere gli aspetti più autentici della SUA produzione, rivelandone le diverse sfumature e i codici linguistici attraverso una vasta selezione di lavori del passato e una nuova opera pensata appositamente per il PAC.

 

 

Il titolo della mostra, Lascia stare i sogni, è una citazione tratta dal suo ultimo film, Atlantide: è la frase che il protagonista Daniele dice alla giovane fidanzata Maila, e che diventa un invito a vedere la mostra senza far riferimento a quei sogni che spesso l’industria cinematografica è solita evocare.

 

Per la prima volta i film di Ancarani, presentati nei maggiori festival e nei più prestigiosi musei d’arte contemporanea del mondo, si potranno vedere riuniti in una sola sede, grazie ad una selezione che va dagli esordi ai giorni nostri. Immagini in movimento impalpabili, che esistono e si muovono in ogni ambito, attraversando i confini stabiliti tra arte visiva e cinema.

 

Promossa dal Comune di Milano – Cultura e prodotta dal PAC con Silvana Editoriale, la mostra è curata da Diego Sileo e Iolanda Ratti, realizzata in partnership con il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna ed è evento di punta di Milano Art Week (11 – 16 aprile 2023).

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Yuri Ancarani è nato nel 1972 a Ravenna ma vive e lavora a Milano. Le sue opere nascono da un’originale e accurata commistione fra cinema documentario e arte contemporanea.
Artista vincitore del premio ACACIA 2023, Ancarani ha esposto i suoi lavori in prestigiosi musei e mostre nel mondo tra cui Kunstverein Hannover (Germania), Castello di Rivoli (Rivoli Torino, Italia), Manifesta 12 (Palermo, Italia), Kunsthalle Basel (Basilea, Svizzera), 55° Biennale di Venezia, Centre Pompidou (Parigi, Francia), Hammer Museum (Los Angeles, USA) e Palais de Tokyo (Parigi, Francia), ricevendo anche numerosi riconoscimenti come il “Premio speciale della giuria Cl+” Cineasti del presente, 69° Locarno Film Festival (Locarno, Svizzera), il “Grand Prix in Lab Competition”, Clermont Ferrand Film Festival (Clermont Ferrand, Francia) e arrivando tra i finalisti del David di Donatello 2022 per il miglior documentario.

 

Photo: Yuri Ancarani, Il Capo, 2010. Film still. Courtesy Studio Ancarani

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Con il sostegno di

 

OPEN OBSCURA

Il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano ha presentato la mostra TONY OURSLER. OPEN OBSCURA, curata da Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni.
La mostra presentava un’ampia selezione di lavori, tra cui alcune grandi installazioni realizzate da Oursler. Questa di Milano, che ha aperto in concomitanza con l’edizione di MiArt 2011, è stata una delle più ampie antologiche dedicate al noto artista americano, considerato dalla critica di tutto il mondo una figura di spicco della storia recente della video arte e definito l’ideatore della video-scultura. Le sue opere sono presenti nelle collezioni dai più grandi musei d’arte moderna e contemporanea internazionale, dal MOMA di New York alla Tate di Londra.
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Tony Oursler è tra gli artisti più innovativi e sperimentali tra quelli che utilizzano il video come mezzo espressivo, convinto che le immagini in movimento, più di quelle statiche, siano estremamente rappresentative della nostra cultura contemporanea. Grazie a lui la video arte si è affrancata dai limiti specifici dello schermo televisivo e dell’immagine proiettata su una superficie uniforme, interagendo in maniera originale con la scultura vera e propria e con il pubblico. La sua arte non si limita cioè a esprimersi attraverso l’immagine video in senso stretto, ma utilizza e sovrappone scultura, design, installazione e performance.
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Il lavoro dell’artista, fin dagli inizi della sua carriera, è dominato da temi quali la violenza, il rapporto con i media, le droghe, le malattie mentali, la cultura pop, la compulsione consumistica, il sesso, l’inquinamento. L’analisi di Oursler si concentra su come tutto questo incida sulla fisicità dell’uomo e sulle relazioni sociali e interpersonali.
Negli anni Novanta, le sue istallazioni includevano sculture-screens (proiezioni su sculture): visi deformati che declamavano monologhi dai risvolti intimisti e in qualche modo deliranti venivano proiettati su volumi irregolari, ma anche su bambole, alberi o nuvole di vapore. Questa serie, intitolata Talking Heads, si è poi evoluta nella serie Eyes (che sarà presentata al PAC in una versione appositamente realizzata e composta da dieci “occhi”), in cui invece l’artista proietta occhi su sfere sparse per lo spazio espositivo. Questi occhi, nei quali si possono vedere pupille che si dilatano, il riflesso dell’iride, il battito delle palpebre, sembrano fissare lo spazio o osservare il visitatore. Questo scambio di sguardi inquietanti tra l’opera e il suo pubblico, il ridurre simbolicamente l’uomo a un occhio, è uno dei temi centrali dell’opera dell’artista americano, imperniata sul rapporto dell’individuo con una dimensione virtuale nella quale si confondono i confini tra realtà e finzione.
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Tony Oursler affronta questioni condivise da artisti a lui vicini, primo tra tutti Mike Kelley, con il quale ha fondato il gruppo punk-rock The Poetics e condiviso la volontà di “creare un guasto nella cultura estetica.” Artista trasversale e poliedrico, voluto da David Bowie per la performance del concerto 50th Birthday Bash al Madison Square Garden del ‘97, Oursler ha dimostrato fin dall’inizio l’interesse per la musica e le interazioni possibili con quest’ambito espressivo attraverso il video: alcune importanti collaborazioni con musicisti di fama internazionale sono stati visibili in mostra.
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Al PAC è stata presentata tra l’altro una serie di installazioni ispirate all’esplorazione dello spazio cosmico in relazione all’immaginazione della cultura popolare (Cosmic Cloud e Purple Dust), ai disagi mentali rappresentati in chiave super–pop (come Crunch e Sss). Tra le grandi installazioni c’era Lock 2,4,6 appositamente rielaborata dall’artista per il PAC utilizzando alcune installazioni del 2009 che hanno una inusuale capacità di coinvolgere il pubblico. Questi lavori sono stati affiancati da altri recentissimi. Il primo è un progetto che Oursler ha realizzato per l’Adobe Virtual Museum (The Valley, 2010). Attraverso alcune postazioni multimediali il pubblico ha avuto l’opportunità di interagire con la mostra digitale con cui l’artista ha inaugurato il museo virtuale di Adobe.
Il secondo è la serie Peak (2010), microsculture costituite da proiezioni su assemblaggi di oggetti e materiali grezzi, quali vetri, metalli, argilla. Anche in questa recente serie l’artista ha sviluppato la sua esplorazione circa i modi in cui la tecnologia incide sulla psiche umana.
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L’attività espositiva annuale del PAC è stata realizzata grazie al sostegno di TOD’S.
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La mostra è stata promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano e prodotta da PAC, 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e MiArt su progetto di Madeinart e realizzata anche grazie al contributo di UniCredit.
Le attività didattiche per il pubblico, ideate e organizzate da MARTE, sono realizzate con il contributo del Gruppo COOP Lombardia.
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TONY OURSLER (1957) è nato a New York, dove vive e lavora. I suoi lavori sono presenti nelle collezioni dei maggiori musei del mondo, tra cui MOMA New York, Whitney Museum, Metrpolitan Museum of Art, Musèe d’Orsay, Centre Georges Pompidou, Tate Gallery London, MoCA Chicago, LACMA Los Angeles, Eli Broad Family Foundation Los Angeles, Hirschorn Museum Washington, National Museum of Osaka, Staatsgalerie Moderner Kunst Munich e altri.
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GLITCH. Interferenze tra arte e cinema

La mostra, a cura di Davide Giannella, è un’ampia panoramica dedicata ad uno dei temi più dibattuti dell’arte contemporena: arte o cinema? Per rispondere abbiamo radunato 50 artisti italiani delle ultime generazioni, con l’obiettivo di esplorare le relazioni di linguaggio e contesto tra due questi due diversi mondi.

 

Il passaggio al digitale, la condivisione su vasta scala di immagini drammatiche come quelle dell’ 11 Settembre e la nascita di youtube.com hanno contribuito negli ultimi quindici anni ad allargare quell’area di confine in continua evoluzione chiamata Art Cinema. Per esplorare questo universo la mostra parte dall’idea di storytelling, di rifrazione tra narrativa lineare e non lineare, tra verità e finzione, ma anche l’idea di ricerca attorno all’atto di guardare e di montare storie: elementi fondanti del cinema e trame dell’arte recente, ma soprattutto strumenti nella creazione di miti e immaginari attraverso differenti linguaggi.

 

Il titolo prende a prestito un termine del linguaggio dell’elettronica: il glitch è una distorsione, un’interferenza non prevista all’interno di una riproduzione audio o video, un’onda breve e improvvisa che dura un istante e poi si stabilizza. Un momento inatteso che può diventare rivelatore, come le opere di questa mostra, tracce in un territorio i cui confini sono in costante definizione, sfumati tra diversi sistemi critici di produzione, distribuzione e fruizione.

 

GLITCH si sviluppa su tre livelli principali che si muovono intorno all’idea di opera filmica.

 

Il primo livello, quello cinematografico, trasforma il PAC in un multisala: 64 film d’artista sono stati suddivisi in due programmi, che verranno proiettati a giorni alterni all’interno di tre mini-cinema realizzati ad hoc per la mostra. Le opere, raccolte in serie e per temi, avranno soprattutto carattere narrativo: produzioni di artisti che lavorano nella cornice dell’arte contemporanea o meta-film, appartenenti all’ampia categoria del cinema sperimentale.

 

Il secondo, quello delle installazioni, contiene opere che instaurano relazioni con il linguaggio e l’immaginario cinematografico e funzionano come declinazioni, traduzioni o presupposti dei lavori filmici.

 

Il terzo,  di approfondimento, proporrà performance come dispositivi dal vivo di immagini in movimento che creano relazioni con elementi specifici del cinema, insieme a proiezioni monografiche dedicate a singoli autori.

 

Per garantire al pubblico la visione di tutte le opere video sarà possibile acquistare, in alternativa ai ticket di ingresso giornalieri, un abbonamento alla mostra che consente un accesso illimitato alle proiezioni e agli eventi collaterali.

 

GLI ARTISTI

 

Alterazioni Video, Yuri Ancarani, Meris Angioletti, Rosa Barba, Barbara & Ale, Marco Belfiore, Elisabetta Benassi, Riccardo Benassi, Francesco Bertocco, Rossella Biscotti, Federico Chiari, Danilo Correale, Giorgio Cugno, Alberto De Michele, Gianluca e Massimiliano De Serio, Rä Di Martino, Patrizio Di Massimo, Irene Dionisio, Alessandro Di Pietro, Ettore Favini e Antonio Rovaldi, Francesco Fei, Anna Franceschini, Stefania Galegati, Paolo Gioli, Piero Golia, Alice Guareschi, Adelita Husni-Bey, Invernomuto, Armin Linke, Beatrice Marchi, Diego Marcon, Eva Marisaldi, Amedeo Martegani, Margherita Morgantin, Valerio Rocco Orlando, Adrian Paci, Roberto Paci Dalò, Diego Perrone, Marinella Senatore, Gabriele Silli, Carola Spadoni, Giacomo Sponzilli, Giulio Squillacciotti, Gianluigi Toccafondo, Luca Trevisani, Carlo Gabriele Tribbioli, Francesco Vezzoli, Virgilio Villoresi, Zapruder, Zimmerfrei.

 

Leggi il PROGRAMMA DELLE PROIEZIONI

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Promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, PAC e Civita, GLITCH inaugura in occasione della 10a Giornata del Contemporaneo indetta per sabato 11 ottobre 2014 da AMACI Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani, di cui il Padiglione milanese è socio fondatore. Come da tradizione il PAC aprirà gratuitamente al pubblico dalle 18.00 alle 24.00.

 

La mostra è realizzata con il sostegno di TOD’S, sponsor dell’attività espositiva annuale del PAC, e con il supporto di Vulcano.

 

L’allestimento dei mini cinema è realizzato con materiale Alcantara prodotto in due speciali versioni.
 

ADRIAN PACI. Vite in Transito

Un blocco di marmo viene estratto da una cava in Cina, lavorato in mare ad opera di artigiani cinesi a bordo di un’enorme nave-officina e trasformato in una colonna in stile classico. La destinazione è ignota. E’ la nuova opera filmica di Adrian Paci, The Column, un racconto visionario che parla di de-localizzazione del lavoro, trasformazione delle tradizioni e confronto tra culture: una potente metafora con un linguaggio visivo di enigmatica bellezza.

 

Prodotta dallo Jeu de Paume di Parigi, dal PAC di Milano, dal Röda Sten Konsthall di Göteborg e dal Trondheim Kunstmuseum di Trondheim insieme ad altri sostenitori, l’opera è il cuore di una grande retrospettiva che il PAC ha dedicato ad Adrian Paci (1969, Scutari), artista albanese che sin dal 1997 ha scelto Milano come sua città di adozione.

 

Promossa e prodotta da Comune di Milano – Cultura, PAC e CIVITA, la mostra ha inaugurato in occasione della IX Giornata del Contemporaneo indetta sabato 5 ottobre 2013 da AMACI Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiana, di cui il Padiglione milanese è socio fondatore: come da tradizione il PAC ha aperto gratuitamente al pubblico dalle 18.00 alle 24.00. Dal 6 febbraio 2014 la mostra si trasferisce in parte al Musée d’art Contemporain de Montréal, in Canada.

 

Disegno, fotografia, pittura, installazione, video, scultura: la mostra, a cura di Paola Nicolin e Alessandro Rabottini, presentava un’ ampia selezione di opere realizzate dall’artista a partire dalla metà degli anni Novanta fino alla produzione più recente, in un percorso che racconta la varietà di linguaggi che Adrian Paci utilizza nel suo lavoro.
L’artista combina narrazione, rigore formale e riflessione sociale per creare visioni poetiche e problematiche delle trasformazioni politiche e umane. Nelle opere prodotte da Paci all’inizio della carriera, influenzate dal clima culturale che i paesi dell’ex blocco sovietico respiravano dopo la caduta del Muro di Berlino, il tema dell’immigrazione si univa alla riflessione sul ruolo delle immagini nel raccontare le esistenze. A partire da questo nucleo – in cui autobiografia e cultura si sovrappongono – l’artista ha ampliato negli anni i confini reali e metaforici del proprio lavoro, esplorando temi universali come la perdita, il movimento delle persone nello spazio e nel tempo, la ricerca di un altrove umano e geografico.

 

Il titolo Vite in transito è un riferimento ai temi più importanti della produzione artistica di Paci: la figura umana occupa un ruolo centrale nel suo lavoro e diventa fonte di narrazione, immaginazione e speranza, insieme con il motivo del movimento costante, sia quello dei popoli attraverso le frontiere geo-politiche sia quello della memoria personale. In questo universo di significati prendono vita le storie e i personaggi protagonisti delle opere video: i disoccupati silenziosi di Turn On (2004), gli uomini in marcia verso un aereo pronto a decollare in Centro di Permanenza Temporanea (2007); ai volti estatici dei fedeli raccolti di fronte all’icona sacra di pilgrIMAGE (2005), i lamenti della prefica che celebra il passaggio dalla morte alla vita in Vajtojca (2002), la simbiosi tra uomo e animale di Inside the Circle (2011), fino all’artista stesso che entra in contatto con il pubblico stringendo ad una ad una le mani dei presenti in The Encounter (2011).
Nel lavoro di Adrian Paci si contaminano linguaggi differenti: video e film possiedono spesso la sintesi visiva della pittura e vicecersa questa sembra avere il ritmo narrativo del cinema, ricorrendo spesso al formato del fotogramma, al flusso continuo delle immagini, alla struttura in serie. Al PAC erano esposti anche acquerelli, la serie di disegni su carta e le gouaches montate su tela, insieme ad acrilici su bobina di legno.

 

La mostra era arricchita da un’installazione di Giovanni De Lazzari (Lecco, 1977), artista formatosi con Adrian Paci durante gli anni del suo insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Bergamo, che raccontava gli esordi della carriera di Paci e approfondiva la dimensione delle fonti e il loro montaggio all’interno del discorso espositivo.

Grazia Toderi

Il PAC ha voluto proseguire la programmazione 2006 con la mostra di Grazia Toderi che presentava nuove opere create per l’occasione e un’ampia raccolta dei suoi video.

Nella ricerca di Grazia Toderi (Padova, 1963), una delle più interessanti personalità emerse nella generazione artistica italiana del primo decennio del 2000, il teatro lirico italiano è un elemento fondamentale, presente al PAC con un lavoro (nel 2006 inedito) realizzato con la collaborazione del Teatro alla Scala di Milano nell’estate 2006.
Grazia Toderi ha dedicato alcuni video di grande bellezza al Teatro La Fenice di Venezia, al Teatro Rossini di Pesaro, al Teatro Massimo di Palermo, al Teatro Comunale di Ferrara e a quello di Modena e ad altri più periferici, piccolissimi e preziosi. Attraverso la rilettura di questi luoghi decisivi nella cultura musicale, artistica e architettonica italiana Grazia Toderi ha proposto un’interazione tra il patrimonio storico e il linguaggio contemporaneo dell’arte visiva. Ha inoltre, spesso, preso a tema le architetture a pianta centrale, arene e stadi italiani, europei e americani. Le sue immagini di queste architetture, rielaborate e arricchite da luci e movimenti, si trasfigurano in corpi siderali che si fanno tramite e luogo di sintesi tra lo spazio cosmico e quello umano. Al PAC un flusso continuo coinvolge tutto lo spazio ed evoca appunto il rapporto tra terra e cielo.
Nelle due proiezioni del video Scala nera, 2006, l’immagine del Teatro alla Scala è virata in una tonalità che allude al buio nel momento in cui sta per iniziare lo spettacolo. In una proiezione l’immagine è frontale; nell’altra il teatro, raddoppiato in modo da costituire una ellissi circondata dai palchi, ruota attorno al proprio asse. L’ovale nero, nucleo germinale e segreto, crea un’attrazione ipnotica. Da un lato la sua forma ellittica ci riporta al lavoro sugli stadi; dall’altro evoca una grande bocca che ricorda i ritratti dei personaggi delle commedie di Plauto, o del Giardino di Bomarzo. Questa ellissi nera diventa simbolo di una sedimentazione così profonda da diventare imperscrutabile.
L’altro lavoro si intitola Rosso Babele, 2006, due proiezioni video. Attraverso la sovrapposizione di riprese di città appare una materia rossastra, brulicante di luci, dalla quale si innalza, si sgretola, sprofonda una torre, formata dalla stratificazione di centinaia di livelli di trasparenza. Una moderna Torre di Babele che si intreccia alla moltitudine di città indistinte dove, sempre più spesso, il significato profondo del linguaggio fluttua tra crescita, moltiplicazione e distruzione, tra eccesso di informazione e impoverimento del messaggio. Il titolo si collega a quella tonalità notturna delle lampade ai vapori di sodio dell’illuminazione stradale. Un colore rossastro che non esiste nella tavolozza e che Toderi chiama “Rosso Babele”, proprio per la sua mobilità e indefinitezza per lo sguardo, ma anche per l’ossessivo sovrapporsi di livelli che attornia la Babele che stiamo attraversando.

La mostra si articolava in un’ampia sequenza di proiezioni tra le quali: Zuppa dell’eternità e luce improvvisa, 1994, dove l’artista tenta di camminare e aprire un ombrello completamente immersa in una piscina, sperimentando l’assenza di gravità, tema che ritroveremo poi nel video dedicato alle riprese televisive dello sbarco sulla Luna, Nata nel ’63, 1996, e in Ragazzi caduti dal cielo, 1998, che collega lo spazio dell’immaginazione filmica – il video è dedicato al film “Il Mago di Oz” – a quello cosmico.
Il legame con la televisione e i media riappare nei video dedicati alle riprese televisive degli stadi, Il decollo, 1998, San Siro, 2000, Diamante, 2001, e in Q, 2003, ispirato invece al famoso quiz televisivo italiano “Rischiatutto”. Il rapporto reale e simbolico con lo spazio siderale trova un’ulteriore lettura nelle immagini prese dall’alto di Milano, 2005, dove le luci intermittenti che brillano tra il tessuto urbano creano un collegamento con le costellazioni e in Empire, 2002, dove nell’immagine satellitare notturna degli Usa, anch’essa brulicante di luci, sembra quasi che quei punti luminosi provengano dalla terra stessa e si immergano nel firmamento. L’attenzione ai monumenti architettonici storici ritorna in Rendez-vous, 2005, che riprende, in una doppia proiezione, la cupola della chiesa – progettata da Juvarra – di Sant’Uberto nella Reggia della Venaria Reale, vicino a Torino. Catalogo a cura di Skira con testi di Joao Fernandes e di Francesca Pasini.

Come di consueto, la mostra è stata accompagnata da un programma di attività didattiche per ragazzi, visite guidate per singoli visitatori e gruppi. Iniziative realizzate con il sostegno del Gruppo COOP Lombardia. Si è tenuta inoltre l’undicesima rassegna di PAC in Concerto – concerti di musica contemporanea legati ai contenuti della mostra.
La mostra è stata realizzata con il sostegno di TOD’S ed Epson Italia.