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RISCATTI. PER LE STRADE MERCENARIE DEL SESSO

 

a cura di Diego Sileo

 

Ottanta fotografie raccontano una realtà scottante, scomoda e a tratti agghiacciante: quella della condizione di schiavitù in cui nel 2020 versano ancora le vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale nell’area metropolitana della Grande Milano. Il risultato è un inedito racconto per immagini realizzato da 7 prostitute dell’hinterland milanese che, dopo aver frequentato per tre mesi un workshop di fotografia guidato dai fotografi di VisualCrew, sono state libere di raccontarsi scattando loro stesse delle fotografie rappresentative della propria realtà, fatta sì di strada, ma anche di vita quotidiana.

Sono loro le protagoniste della mostra dal titolo RI-SCATTI. Per le strade mercenarie del sesso, in programma dal 16 al 25 ottobre 2020, organizzata per il sesto anno consecutivo insieme al PAC da RISCATTI Onlus – l’associazione di volontariato milanese che dal 2014 realizza progetti di riscatto sociale attraverso la fotografia – e promossa dal Comune di Milano con il sostegno di Tod’s.

I fondi raccolti attraverso la vendita delle fotografie andranno a Lule Onlus, associazione laica nata nel 1998 ad Abbiategrasso, che, con 20 operatori professionisti e 35 volontari, da oltre 20 anni offre aiuto alle vittime della tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale con programmi di intervento mirato all’assistenza, all’integrazione e al recupero sociale delle stesse. Sul territorio di Città Metropolitana di Milano Associazione Lule interviene come partner del progetto antitratta Derive e Approdi di cui il Comune di Milano è capofila.

 

Durante la mostra il PAC ospita l’installazione teatrale NOBODY – “Viaggio sensoriale attraverso la tratta e lo sfruttamento sessuale”, a cura di Compagnia FavolaFolle e Lule Onlus.

L’opera andrà in scena gratuitamente al PAC come evento collaterale alla mostra fotografica, nelle giornate di sabato 17 e domenica 18 ottobre.

AUTORITRATTO

 

a cura di Diego Sileo e Douglas Fogle

 

Il PAC presenta la prima ampia mostra personale di Luisa Lambri in Italia, un progetto espositivo pensato e sviluppato appositamente per il padiglione milanese.

 

Concentrandosi principalmente sulla fotografia, il lavoro di Lambri è caratterizzato da un impegno con un esteso spettro di soggetti che ruotano attorno alla condizione umana e al suo rapporto con lo spazio, come la politica della rappresentazione, l’architettura, la storia della fotografia astratta, il modernismo, il femminismo, l’identità e la memoria.

L’installazione delle sue fotografie e lo spazio espositivo costituiscono una parte integrante del suo lavoro. Ogni nuovo luogo che accoglie una sua installazione presenta qualità uniche con le quali l’artista interagisce, rendendo ogni progetto un’opera site-specific. Le opere di Lambri non sono mai installate indipendentemente dalla struttura che le ospita.

 

Il titolo della mostra al PAC è un omaggio alla critica d’arte Carla Lonzi che nel 1969, prima di lasciare la professione per dedicarsi alla militanza femminista, pubblica sotto il titolo di “Autoritratto” una raccolta di interviste con quattordici artisti scelti da lei nell’esperienza dell’avanguardia anni ‘60. Il dialogo che ne deriva dà una dimensione degli artisti privata e che privilegia il loro ruolo attivo nel parlare in prima persona di sé e del proprio stare nell’arte e nel mondo. Allo stesso modo Lambri costruisce letture personali e intime dei soggetti da lei scelti per i suoi lavori e incoraggia un dialogo tra l’osservatore, l’opera d’arte e lo spazio in cui si trova nel loro complesso.

 

Il progetto al PAC si concentra sui rapporti tra le opere di Lambri e l’architettura di Ignazio Gardella. Le fotografie diventano una vera estensione dello spazio e, di conseguenza, l’architettura di Gardella e l’esperienza soggettiva dei visitatori una parte integrante del lavoro.

Una vasta selezione di opere, alcune mai presentate prima in Italia e realizzate tra il 1999 e 2017, sottolineano la sua tendenza a lavorare in serie. Lambri si pone in dialogo con il lavoro di artisti come Donald Judd, Robert Irwin, Lygia Clark e Lucio Fontana oltre che il lavoro di architetti come Álvaro Siza, Walter Gropius, Marcel Breuer, Mies van der Rohe, Luis Barragán, Rudolph Schindler, Paulo Mendes da Rocha e Giuseppe Terragni, tra gli altri.

 

L’allestimento della serie Untitled (Sheats-Goldstein House), 2007, nel parterre del PAC, coinvolge anche un altro importante architetto: l’italiana Lina Bo Bardi, che nel 1957 ricevette l’incarico per la progettazione del nuovo Museo di Arte Moderna di San Paolo del Brasile (MASP). Le dieci fotografie selezionate sono esposte sui cavalletti realizzati da Bardi per il museo brasiliano, qui riprodotti in collaborazione con l’Instituto Bardi di San Paolo.

 

Nata a Como nel 1969, Luisa Lambri attualmente vive a Milano. Il suo lavoro è stato esposto alla Quadriennale di Roma (2020 e 2005), alla Triennale di Cleveland (2018), alla Biennale di Architettura di Chicago (2017), alla Biennale di Liverpool (2010) e alla Biennale di Venezia (Architettura 2010 e 2004; Arte 2003 e 1999). Le hanno dedicato mostre personali il Met Breuer di New York (2017) e l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (2012), l’Hammer Museum di Los Angeles (2010), il Baltimore Museum of Art (2007), la Menil Collection di Houston (2004) e Kettle’s Yard di Cambridge (2000), e le sue opere sono state esposte in numerose collettive, tra le tante al Carnegie Museum of Art di Pittsburgh (2019 e 2006), alla Tate Modern di Londra (2018), al Museum of Contemporary Art di Chicago (2009). Il lavoro di Lambri è incluso inoltre in diverse collezioni, tra le quali il Museum of Modern Art di San Francisco, il J. Paul Getty Museum di Los Angeles e il Solomon Guggenheim Museum di New York.

 

La mostra è co-curata da Diego Sileo e Douglas Fogle, e sarà accompagnata da un catalogo bilingue che comprende le immagini delle opere esposte, le vedute di installazione e nuovi saggi critici.

AMICO FRAGILE

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Per il quinto anno consecutivo il PAC collabora con RISCATTI Onlus, l’associazione di volontariato milanese che realizza progetti di riscatto sociale attraverso la fotografia. Protagonisti quest’anno gli adolescenti vittime in casi di bullismo e cyber-bullismo. Alcuni di loro attualmente in cura presso la Casa Pediatrica dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano, in prima linea nella diagnosi e nella cura di diverse problematiche dell’età evolutiva e dell’adolescenza.

I ragazzi, impegnati per due mesi in un workshop di fotografia organizzato da RISCATTI a cura dei fotografi Amedeo Novelli e Luca Matarazzo (WJ – Witness Journal) e con il coordinamento della ex giornalista del TG1 Federica Balestrieri, fondatrice di Riscatti onlus, potranno esporre le loro istantanee in una mostra al PAC, realizzata con il contributo di TOD’S, durante la quale gli scatti verranno messi in offerta e parte del ricavato sarà utilizzato per valorizzare le attività della Casa Pediatrica del Fatebenefratelli.

DA ZERO

Un progetto di RISCATTI Onlus a cura di Alessia Glaviano
 
Ripartire si può, anche “DA ZERO”. Questo il nome emblematico scelto da RISCATTI per il suo quarto progetto, realizzato in collaborazione con il Comune di Amatrice, grazie al contributo della Philip and Irene Toll Gage Foundation.
 
Dopo Fotografi senza fissa dimora che nel 2015 ha trasformato gli homeless in fotografi, Milano Melting Pot dedicata nel 2016 al tema dell’immigrazione e La ricerca della felicità che ha coinvolto i pazienti dell’oncologia pediatrica dell’Istituto dei Tumori di Milano, RISCATTI ha scelto quest’anno di sostenere i ragazzi di Amatrice che hanno perso la casa, gli affetti e il Centro Giovani, punto di aggregazione raso al suolo dal sisma.

 
Oltre 140 fotografie scattate da 13 adolescenti di Amatrice di età compresa tra i 14 e i 19 anni, sopravvissuti al terremoto dell’agosto 2016. Vanessa Bakaj, Manuela Bonanni, Martina Capone, Roberto Spurio, Victoria Conti, Elisa Etrusco, Silvia Guerrini, Serena Natalucci, Livia Micozzi, Flaminia Bakaj, Maria Grazia Morante, Tatiana Spurio e Giorgia Paoletti sono i protagonisti della mostra organizzata per il quarto anno consecutivo al PAC da RISCATTI Onlus, l’associazione di volontariato milanese che dal 2014 realizza progetti di riscatto sociale attraverso la fotografia. Non senza un risvolto charity, le istantanee esposte durante la mostra, infatti, saranno messe in offerta e parte del ricavato sarà utilizzato per allestire il centro giovanile del borgo del Reatino distrutto dal terribile sisma di due anni fa.
 
“RI-SCATTI, Da Zero”, a cura di Alessia Glaviano, è il titolo della collettiva che raggruppa gli scatti dei 13 studenti dell’Istituto Omnicomprensivo di Amatrice impegnati per due mesi, nell’autunno scorso, in un workshop di fotografia in collaborazione con WJ – Witness Journal,  a cura dei fotografi Amedeo Novelli e Stefano Corso, con Rina Ciampolillo, Pippo Mariani, Danilo Garcia Di Meo, Sfefano Chiovini e con il coordinamento della ex giornalista del TG1 Federica Balestrieri, fondatrice di RISCATTI Onlus, coadiuvata dai volontari dell’associazione.

Orari della mostra: tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.30
Ingresso libero


 
un progetto Riscatti
realizzato con PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Comune di Milano in collaborazione con Comune di Amatrice
con il sostegno di TOD’S
grazie al contributo di Philip and Irene Toll Gage Foundation

MEA CULPA

a cura di a cura di Diego Sileo e Lutz Henke

 

Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano presenta MEA CULPA, la prima grande antologica in Italia dedicata all’artista concettuale Santiago Sierra. Nato nel 1966 a Madrid, da quasi trent’anni il suo lavoro si muove sul terreno impervio della critica alle condizioni sociopolitiche della contemporaneità.

 

Messaggero della cupa verità del nostro tempo, Sierra è spesso stigmatizzato per le sue performance intense ed ambigue. Eppure il loro linguaggio visivo, il simbolismo complesso ed energico, il loro essere calate nella realtà delle persone conferisce loro un raro impatto emozionale. Sierra ha esposto in prestigiosi musei ed istituzioni nel mondo e nel 2003 ha rappresentato la Spagna alla 50a Biennale di Venezia. La mostra al PAC riunisce per la prima volta le opere politiche più iconiche e rappresentative dell’artista, dagli anni Novanta a oggi, e la documentazione di sue numerose performance realizzate in tutto il mondo, insieme a nuove produzioni e riattivazioni di installazioni e azioni passate.

 

Con la mostra di Santiago Sierra il PAC attiva la prima delle quattro linee di racconto sulle quali si muove il suo palinsesto annuale, proponendo in occasione di miart mostre di artisti conosciuti e affermati nel panorama artistico internazionale.

Promossa dal Comune di Milano – Cultura e prodotta dal PAC con Silvana Editoriale, la mostra apre il calendario di appuntamenti dell’Art Week, la settimana milanese dedicata all’arte contemporanea.

 

 

una mostra Comune di Milano – Cultura, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Silvana Editoriale

RI-SCATTI, MILANO MELTING POT

Torna la rassegna a scopo benefico ideata dall’associazione Riscatti onlus , fondata dalla giornalista RAI Federica Balestrieri, quest’anno dedicata alla multiculturalità e all’integrazione.

 

Ln mostra, a cura di Chiara Oggioni Tiepolo ,  riunisce oltre 70 foto  stampate su carta Canson Infinity e realizzate da 18 immigrati di 9 nazionalità che raccontano una Milano inedita e nascosta dove le culture dialogano tra loro e l’immigrazione è ricchezza e risorsa sociale.

 

Ogni concorrente dotato di una macchina fotografica messa a disposizione da Canon, sponsor tecnico del progetto, ha seguito un corso di due mesi tenuto gratuitamente da Gianmarco Maraviglia fondatore dell’agenzia ECHO Photo Journalism e da altri due fotoreporter professionisti Amedeo Novelli, direttore responsabile Witness Journal e Loris Savino di Linke Lab. Il compito loro affidato è stato quello di scattare, per il periodo di durata del corso, fotografie che raccontassero la loro giornata, la loro vita a Milano e la loro quotidianità di stranieri inseriti nel tessuto sociale della metropoli.

 

Dai luoghi di culto all’intimità della vita tra le mura domestiche, dalle vie della città, alle giornate di lavoro. I fotografi ci riportano il loro personale sguardo su Milano e sulla loro ricerca di integrazione che diventa “riscatto”.

 

Le 25 foto più belle scattate da ciascun fotografo sono state sottoposte ad una giuria di esperti che ha scelto i primi 3 classificati valutando l’insieme di foto prodotte. Il premio per il primo classificato Marvin Nolasco, di nazionalità filippina, è stato di 1.500 euro; 700 euro per il secondo Analia Pierini, argentina; 500 euro per il terzo Radua Shahat , egiziana.

 

Gli scatti sono in vendita in mostra, il ricavato servirà a fornire a future mamme italiane e straniere in difficoltà o con gravi traumi legati alla loro condizione di migranti il servizio Home Visiting ‎erogato dall’Associazione CAF www.caf-onlus.org.

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La mostra, realizzata anche quest’anno con il contributo di Tod’s e con il patrocinio del Comune di Milano, è l’evoluzione del progetto Ri-scatti Fotografi Senza Fissa dimora, curato dall’Associazione Riscatti e che nel febbraio del 2015 al PAC ha coinvolto 15 homeless.

 

Per creare una continuità progettuale, in mostra sono esposti anche i ritratti dei partecipanti al concorso , scattati dagli homeless fotografi del precedente progetto. Gli scatti sono firmati da Dino Bertoli, Sofiene Bouzayene e Massimo La Fauci.

 

L’APPARENZA DI CIÒ CHE NON SI VEDE

a cura di Ilaria Bonacossa e Philipp Ziegler

 

In occasione della 12a Giornata del Contemporaneo dedicata all’arte italiana, il PAC presenta L’apparenza di ciò che non si vede, una mostra concepita come processo di attivazione attraverso il dialogo dell’archivio fotografico di Armin Linke  (Milano, 1966). L’artista ne ha impostato la struttura, invitando vari teorici provenienti da diversi ambiti di ricerca a vagliare un ampio campione della sua opera fotografica. Leggendo le immagini alla luce del proprio quadro teorico, ciascuna/o di loro ha prodotto una selezione, che illustra la sua specifica visione della società contemporanea.

 

Queste selezioni entrano nella mostra organizzate come una mutevole topologia di dialoghi, trasformandosi in relazione all’architettura modernista del PAC.

 

La mostra propone più di centosettanta immagini fotografiche accompagnate da testi e audio, selezionate tra le oltre ventimila fotografie che compongono l’archivio di Armin Linke. Da più di vent’anni l’artista viaggia per il mondo con l’intento di fotografare gli effetti della trasformazione globale delle infrastrutture e l’interconnessione della società postindustriale attraverso l’informazione digitale e le tecnologie della comunicazione. La sua opera può essere considerata un giornale di bordo dei profondi cambiamenti economici, ambientali e tecnologici che modellano il nostro mondo basato sui dispositivi.

 

Per le cinque installazioni del progetto presentate nel 2015/16 allo ZKM (Centro per l’arte e la tecnologia dei media) di Karlsruhe sono stati invitati a dialogare con l’archivio fotografico di Armin Linke gli studiosi: Ariella Azoulay (Tel Aviv, 1962), Bruno Latour (Beaune, 1947), Peter Weibel (Odessa, 1944), Mark Wigley (Palmerston North, 1956), Jan Zalasiewicz (Manchester 1954). Alla mostra del PAC di Milano si aggiungono i contributi di Franco Farinelli (Ortona, 1948), Lorraine Daston (East Lansing, Michigan, 1951) e Irene Giardina (Catania, 1971) e una nuova installazione dei precedenti interventi.

 

Il progetto e la sua struttura mettono a tema la leggibilità dell’immagine fotografica e l’approccio soggettivo a questioni globali, tenendo conto della natura individuale di metodologie e interessi di ricerca.

 

STARDUST

Con oltre 300 scatti in mostra, Stardust celebra uno dei più grandi fotografi viventi e offre al pubblico uno sguardo inedito su un artista iconico, che ha ritratto in modo creativo e sempre stimolante soggetti e gruppi, catturati nel corso degli ultimi cinque decenni: molti di loro famosi, alcuni sconosciuti, tutti coinvolgenti e memorabili.

 

Promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura e Tod’s, la mostra segna l’inizio di una collaborazione pluriennale tra la prestigiosa azienda internazionale e il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea per la produzione di grandi mostre sugli artisti protagonisti del nostro tempo.

 

Universalmente riconosciuto come uno dei padri fondatori della fotografia contemporanea, David Bailey ( Londra, 1938) è l’autore di alcuni tra i ritratti più iconici degli ultimi cinque decenni. I suoi primi lavori hanno definito, e allo stesso tempo catturato, l’atmosfera degli anni Sessanta a Londra, quando con i suo scatti ha fatto nascere stelle di una nuova generazione, tra cui Jean Shrimpton e Penelope Tree. Scardinando le rigide regole che avevano guidato la precedente generazione di fotografi ritrattisti e di moda, Bailey ha saputo incanalare nel suo lavoro la novità e l’energia della street culture londinese, creando quella freddezza casual che ha contrassegnato il suo stile.

 

Curata dallo stesso artista e realizzata in collaborazione con la National Portrait Gallery di Londra e con il magazine ICON, la mostra contiene una vasta serie di fotografie, selezionate personalmente da Bailey come le immagini più significative o memorabili della sua carriera, che ha attraversato più di mezzo secolo.

 

Innovativa e provocatoria, l’opera d Bailey include immagini intense ed evocative di attori, scrittori, musicisti, registi, icone della moda, designer, modelli, artisti e persone incontrate nel corso dei suoi viaggi.

 

Il coinvolgimento tra artista e soggetto è palpabile e presente in tutti i suoi scatti: da quelli realizzati con celebrities come Meryl Streep, Johnny Depp, Jack Nicholson e Kate Moss, ai nudi di sconosciuti volontari che hanno posato per il suo progetto “Democracy” tra il 2001 e il 2005; dalle icone della musica come i Beatles o i Rolling Stones, a grandi protagonisti delle arti visive come Salvador Dalì ritratto insieme ad Andy Warhol, ma anche Francis Bacon o Damien Hirst.

 

Il percorso della mostra non procede cronologicamente, ma per temi, mettendo a confronto generei molto diversi: dalla fashion photography agli still lives, fino alla fotografia di viaggio. La mostra ripercorre per capitoli ritratti, luoghi e personalità insieme agli scatti raccolti da Bailey intorno al mondo: immagini dell’India, dell’Australia, della Papua Nuova Guinea e del Sudan convivono così in un continuum con quelle dell’East End londinese e quelle più glamour delle “Pin-Up”.

 

Per questa esposizione, l’artista ha realizzato nuove stampe in gelatina d’argento, che gli hanno permesso di rivedere ogni singola immagine. Il suo stile inimitabile e senza tempo cattura lo Zeitgeist e la vitalità della cultura moderna attraverso la sua peculiare interpretazione: le immagini trasmettono una creatività e un temperamento che sono inequivocabilmente targati Bailey.

FOTOGRAFI SENZA FISSA DIMORA

Novantacinque foto documentano realtà spesso nascoste, scelte tra i numerosi scatti realizzati in due mesi da tredici senza fissa dimora, undici uomini e due donne, indicati dai Servizi sociali del Centro Aiuto del Comune di Milano per il corso-concorso RI_SCATTI. In mostra anche i ritratti di otto dei protagonisti, scattati dal fotografo di moda e lifestyle Stefano Guindani.

 

La mostra è l’ultimo step di un progetto, promosso dall’Associazione Terza Settimana di Torino in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Sociali e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano. Nato da un’idea di Federica Balestrieri – giornalista Rai e volontaria dell’Associazione Terza Settimana che si occupa di povertà alimentare con una rete di Social Market – il progetto è stato realizzato in collaborazione con l’agenzia fotografica SGP Stefano Guindani Photo ed Echo Photo Agency e con il contributo di Tod’s.

 

Il concorso ha creato l’opportunità di un percorso di formazione professionale e di reinserimento sociale per quanti si trovano in temporanea difficoltà: attraverso un corso tenuto dai fotoreporter Gianmarco Maraviglia e Aldo Soligno di Echo Photo Agency, 13 senza fissa dimora hanno appreso il linguaggio e le tecniche della fotografia e lo hanno utilizzato per raccontare la propria esperienza di vita, misurandosi in un concorso finale. Il vincitore, l’argentino Dino Luciano Bertoli, nominato da una giuria specializzata, si è aggiudicato una borsa lavoro presso l’Agenzia SGP di Stefano Guindani.

 

La mostra al PAC è il risultato di questo percorso. Curata da Chiara Oggioni Tiepolo, la mostra è un racconto della vita ai margini della società, vista con gli occhi di tredici protagonisti. Attraverso le loro fotografie scopriamo dove trascorrono la giornata, cosa fanno, dove dormono, come si procurano i vestiti, dove si lavano, chi sono i loro “compagni di viaggio”. Ma anche i loro sogni, le loro aspettative, la loro voglia di riscatto. Un’esposizione fotografica che analizza persone, situazioni ma anche, e soprattutto, emozioni.

 

In mostra sarà possibile scegliere una delle foto esposte donando da un minimo di 80 euro ad un massimo di 150 euro. Il ricavato andrà all’Associazione Terza Settimana e al Centro aiuto Stazione Centrale.

 

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Si ringraziano
Cartiere Hahnemühle FineArt, Nital S.p.A, Fondazione Mike Bongiorno , Videocomunicando, Matteo Ceccarini, Consorzio Franciacorta, L’Istituto Statale per l’Enogastronomia e l’Accoglienza Turistica “Carlo Porta” di Milano , Ambrosi S.p.a.

ACTUALITY

La prima retrospettiva in Italia del grande artista e fotografo canadese. Quarantadue opere in mostra, alcune presentate per la prima volta in Italia, che tracciano il percorso creativo di uno fra gli artisti contemporanei più innovativi degli ultimi trenta anni.
Il 19 Marzo 2013 è stata presentata la mostra Actuality, la prima grande retrospettiva italiana del fotografo canadese Jeff Wall (Vancouver 1946), al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano. L’esposizione è stata curata da Francesco Bonami
Quarantadue le opere in mostra, alcune presentate per la prima volta in Italia e che tracciano il percorso creativo di uno fra gli artisti contemporanei più innovativi degli ultimi trenta anni. Jeff Wall è stato presente nel 2013 a Documenta Kassel e alla Biennale di Venezia e protagonista di mostre personali nei principali musei del mondo, come il MoMA di New York (2007), il Deutsche Guggenheim di Berlino (2007), il San Francisco Museum of Modern Art (2008) e la Tate Modern di Londra (2005).
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Entrato ormai a far parte di importanti collezioni internazionali, Jeff Wall “ha trascinato la fotografia fuori dai confini del proprio mondo, facendola approdare all’arte contemporanea”, ha affermato il curatore della mostra Francesco Bonami “ed è stato forse il primo artista ad usare la fotografia avvalendosi delle nuove tecnologie digitali, pur non mostrandole mai nel proprio lavoro”.
I suoi famosi “lightbox”, mutuati dal linguaggio pubblicitario tipicamente americano, sono solo una parte della vastissima produzione del fotografo che inizia nel 1978. Pioniere della fotografia concettuale o post-concettuale della cosiddetta “ Scuola di Vancouver”, con le sue riflessioni Wall ha aperto la strada ad innumerevoli altri artisti influenzandoli con il suo lavoro.
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Le opere di Wall esplorano campi diversi, che spaziano dai temi sociali a quelli politici. La violenza urbana, il razzismo, la povertà, le tensioni sociali, la storia: sono tutti soggetti che l’artista osserva e rappresenta con precisione e profondità, “mantenendo però un approccio molto simile a quello dei pittori dell’Ottocento”, ha sottolineato Bonami, perché “le foto di Wall hanno sempre una dimensione pittorica e fisica che spesso riporta ai quadri di Manet, Courbet e di altri protagonisti dell’arte Moderna”. Alcuni infatti lo hanno definito “pittore della vita moderna“, citando la definizione che Charles Baudelaire aveva dato agli artisti del suo tempo.
All’iniziale interesse per paesaggi al limite tra natura e realtà urbana, si è aggiunta la riproduzione di scene drammatiche ritratte in uno stile narrativo. Nel corso degli anni Wall ha lavorato sulla concettualizzazione di scenari e fenomeni della vita quotidiana, da quelli apparentemente insignificanti a quelli più mondani. Dai suoi scatti emerge una predilezione per gli angoli che sembrano dimenticati e abbandonati fino alla riproduzione di dettagli che passano inosservati. In mostra insieme ai lightbox ci sono state anche le stampe fotografiche, alcune scelte tra le produzioni in bianco e nero.
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Come di consueto il PAC ha avuto in programma attività didattiche gratuite, per avvicinare grandi e piccoli al lavoro dell’artista.
La mostra è inoltre stata accompagnata da un public program curato da Giovanna Silva (fotografa) e da Stefano Graziani (docente di fotografia e fotografo) per approfondire i temi dell’esposizione: dal 15 al 22 aprile si è svolto un Workshop, rivolto agli studenti di fotografia in Italia, al PAC e al Palazzo Reale; tra aprile e maggio in aggiunta si è tenuta una serie di talk al PAC con studiosi di diversa formazione che hanno analizzato alcuni aspetti del lavoro di Jeff Wall.
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La mostra è stata prodotta da Comune di Milano – Cultura Moda Design e CIVITA, mentre le attività didattiche sono state ideate e organizzate da MARTE e realizzate con il contributo del Gruppo COOP Lombardia.

RISE AND FALL OF APARTHEID

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Curata da Okwui Enwezor, in passato adjunct curator all’ICP e oggi direttore della Haus der Kunst di Monaco dove la mostra è approdata nella primavera 2013 dopo il grande successo americano, l’esposizione è poi arrivata in Italia nell’estate 2013.
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Pietra miliare nel suo genere e frutto di oltre sei anni di ricerche, il progetto ha raccolto il lavoro di quasi 70 fotografi, artisti e registi, dimostrando il potere dell’immagine – dal saggio fotografico al reportage, dall’analisi sociale al fotogiornalismo e all’arte – di registrare e analizzare l’eredità dell’apartheid e i suoi effetti sulla vita quotidiana in Sud Africa.
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Complessa, intensa, evocativa e drammatica, la mostra ha analizzato oltre 60 anni di produzione illustrata e fotografica ormai parte della memoria storica e della moderna identità sudafricana. Fotografie, opere d’arte, film, video, documenti, poster e periodici: un ricco mosaico di materiali, molti dei quali raramente esposti insieme, documenta uno dei periodi storici più importanti del ventesimo secolo, le sue conseguenze tuttora durature sulla società sudafricana e l’importanza del ruolo di Nelson Mandela.
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L’Apartheid, parola olandese composta da “separato” (apart) e “quartiere” (heid), è stata la piattaforma politica del nazionalismo afrikaner prima e dopo la seconda guerra mondiale. Un sistema creato appositamente per promuovere la segregazione razziale e mantenere il potere nelle mani dei bianchi. Nel 1948, dopo la vittoria a sorpresa dell’Afrikaner National Party, l’apartheid è stata introdotta come politica ufficiale dello stato e si è imposta attraverso un’ampia serie di programmi legislativi. Col tempo il sistema dell’apartheid è diventato sempre più spietato e violento nei confronti degli africani e delle altre comunità non bianche. Non ha solo trasformato il moderno significato politico di cittadinanza, ma ha anche inventato una società completamente nuova sia a livello pratico che a livello giuridico: una riorganizzazione delle strutture civili, economiche e politiche che ha coinvolto anche gli aspetti più mondani dell’esistenza, dalla casa al tempo libero, dai trasporti all’istruzione, dal turismo alla religione e ai commerci. L’apartheid ha trasformato le istituzioni mantenendole in vita con l’unico scopo di negare e privare dei propri diritti civili di base africani, meticci e asiatici.
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È in questo contesto che nasce la fotografia del Sud Africa così come la conosciamo oggi. La mostra è partita dall’idea che la salita al potere del Partito Nazionale Afrikaner e la conseguente introduzione dell’apartheid come suo fondamento legale abbiano modificato la percezione del paese da una realtà puramente coloniale, basata sulla segregazione razziale, a una realtà vivacemente dibattuta, basata su ideali di uguaglianza, democrazia e diritti civili. La fotografia ha colto quasi immediatamente questo cambiamento e ha trasformato il proprio linguaggio da mezzo puramente antropologico a strumento sociale. Questa è la ragione per cui nessuno ha saputo cogliere la situazione del Sud Africa e della lotta all’apartheid meglio, in modo più critico e incisivo, con una profonda complessità illustrativa e una penetrante introspezione psicologica, di quanto abbiano fatto i fotografi sudafricani. Lo scopo della mostra è stato quello di far conoscere i protagonisti di questo straordinario cambiamento.
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Oltre al lavoro dei membri del Drum Magazine negli anni ’50, dell’Afrapix Collective degli anni ’80 e ai reportage del cosiddetto Bang Bang Club, sono state esposte anche eccezionali opere di fotografi sudafricani all’avanguardia quali Leon Levson, Eli Weinberg, David Goldblatt, Peter Magubane, Alf Khumalo, Jurgen Schadeberg, Sam Nzima, Ernest Cole, George Hallet, Omar Badsha, Gideon Mendel, Paul Weinberg, Kevin Carter, Joao Silva e Greg Marinovich. In mostra anche le opere di una nuova generazione di fotografi sudafricani, tra cui Sabelo Mlangeni e Thabiso Sekgale, che esplorano le conseguenze che ancora oggi l’apartheid produce nel paese.
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Insieme a loro anche artisti contemporanei quali Adrian Piper, Sue Williamson, Jo Ractliffe, Jane Alexander, Santu Mofokeng, Guy Tillim, Hans Haacke e un video che raccoglie 10 animazioni di William Kentridge per un totale di quasi un’ora di proiezione.
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La mostra è stata accompagnata dalla versione originale del catalogo in inglese, curato da Okwui Enwezor e Rory Bester (co-curatore dell’edizione newyorchese dell’esposizione) con saggi degli stessi Enwezor e Bester nonché di altri illustri studiosi della materia, tra cui Darren Newbury, Achille Mbembe, Patricia Hayes, Collin Richards, Khwezi Gule e Michael Godby.
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La mostra al PAC, promossa e prodotta da Comune di Milano – Cultura , PAC e CIVITA, è stata realizzata con il sostegno di TOD’S sponsor dell’attività espositiva annuale del Padiglione milanese.
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RISE AND FALL OF APARTHEID: Photography and the Bureaucracy of Everyday Life è stata realizzata grazie al contributo di Mark McCain e Caro Macdonald/Eye and I, della Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, del National Endowment for the Arts, della Joseph and Joan Cullman Foundation for the Arts, di Deborah Jerome e Peter Guggenheimer, del New York City Department Cultural insieme con il City Council e della Robert Mapplethorpe Foundation in onore di 30 anni di servizio dedicato al ICP da Willis E. Hartshorn.
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OKWUI ENWEZOR | Direttore della Haus der Kunst di Monaco. In precedenza è stato Curatore aggiunto all’ICP e Dean of Academic Affairs (Decano degli Affari Accademici) e Senior Vice Presidente all’Art Institute di San Francisco. Più recentemente è stato il direttore artistico de La triennale 2012 al Palais de Tokio di Parigi ed è stato, solo per citare alcune delle tante altre mostre interazionali, Direttore Artistico della Seconda Biennale di Johannesburg (1997), di Documenta 11 (2002), della Settima Biennale di Gwangju (2008). Enwezor è stato altresì Visiting Professor presso il Kirk Varnedoe Institute of Fine Arts, della New York University. E’ anche l’editore e il fondatore di Nka: Journal of Contemporary African Art (Giornale dell’Arte Africana Contemporanea).

LA SCENA DELL’ARTE

La mostra Ugo Mulas. la scena dell’arte tenutasi al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea illustrava l’evoluzione della ricerca fotografica di Ugo Mulas (1928 – 1973), una delle figure più importanti nel panorama della fotografia contemporanea.

L’esposizione era strutturata in due mostre parallele, rispettivamente al PAC di Milano e al MAXXI di Roma, per poi confluire, a giugno, negli spazi della GAM di Torino.

La mostra al PAC ha ricostruito l’evoluzione del percorso artistico di Mulas tra gli anni Sessanta e Settanta e il passaggio dal reportage sociale alla fotografia analitica, attraverso 250 opere disposte in un itinerario espositivo articolato in sezioni parallele: una struttura aperta che segue il doppio filo della documentazione dell’arte e dell’evoluzione linguistica dell’opera di Mulas.

Il percorso della mostra si apriva con le immagini di New York, arte e persone (1964 – 1967), uno dei lavori più celebri del fotografo milanese. Nella grande metropoli americana Mulas ebbe due guide d’eccezione: il gallerista Leo Castelli e Alan Solomon, entrambi conosciuti alla Biennale del ’64 , che lo introdussero nella scena dell’arte tra critici, studi di artisti e galleristi, happening e serate negli atelier. Mulas incontra e ritrae Duchamp, Warhol, Lichtenstein, Johns, Christo, Segal, Rosenquist, Dine, Oldenburg, Rauschenberg, Cage, superando definitivamente la tradizione del reportage classico. Nei suoi ritratti non c’è interesse alla mera documentazione, alla narrazione dei fatti. “..quello che mi interessa é dare un’idea del personaggio in rapporto al risultato del suo lavoro, cioé di capire quale dei suoi modi e atteggiamenti é decisivo rispetto al risultato finale.”(Ugo Mulas). Il tentativo è quello di rendere la disposizione mentale dell’artista e non la mera registrazione dell’evento, del gesto, dell’istante.

La sezione dedicata alle Nuove Ricerche (1967 – 1969) testimoniava lo straordinario lavoro di riflessione critica che Mulas dedica alla fotografia. La crisi del reportage e del linguaggio fotografico, che in quegli anni viene travolto dall’avvento delle immagini televisive, spingono il fotografo milanese alla sperimentazione e ad esplorare le diverse possibilità comunicative del mezzo fotografico. Gli scatti non sono più solo destinate alle riviste illustrate, ma diventano opere create per essere pubblicate su libri e cataloghi (Vitalità del Negativo,Calder, Melotti); esposte come grandi provini (Johns, Newman, Noland); raccolte in cartelle fotografiche (Fontana, Duchamp e Montale) oppure utilizzate per scenografie teatrali (Wozzeck, Giro di Vite). I grandi formati, le proiezioni, le solarizzazioni, l’uso dell’iconografia del provino, sono tutti elementi che Mulas recupera dalla pratica quotidiana del suo fare, dalle sperimentazioni pop e new dada e da un’attenta rilettura della storia della fotografia: una risposta creativa e innovativa di fronte ai cambiamenti radicali apparsi alla fine del decennio. In questa sezione è stato esposto Campo Urbano (Como, 1967) restaurato grazie al contributo del Comune di Milano e restituito al pubblico dopo oltre vent’anni di oblio.

Al PAC il pubblico ha potuto ammirare infine le Le Verifiche, una delle opere fondamentali nella storia della fotografia contemporanea italiana.
“…Ho chiamato questa serie di foto Verifiche, perché il loro scopo era quello di farmi toccare con mano il senso delle operazioni che per anni ho ripetuto cento volte al giorno, senza mai fermarmi una volta a considerarle in se stesse, sganciate dal loro aspetto utilitaristico.” (Ugo Mulas)
Con la consapevolezza di vent’anni di esperienza pratica Mulas affronta i temi tecnici e i dettagli pragmatici del fare fotografia. L’uso dell’obiettivo, gli effetti del grandangolo, la pellicola e le proprietà della sua superficie sensibile diventano soggetti e allo stesso tempo spunti di riflessione critica sulla propria arte, sul ruolo del fotografo e sul suo rapporto con la macchina.

Completava la mostra una selezione di immagini sulla Milano degli anni Cinquanta – le Periferie. Sono i primi lavori di un Mulas autodidatta, che si fa interprete di una città complessa e piena di contraddizioni: dai dormitori ricovero dei senza casa ai quartieri borghesi, dalle case degli operai ai volti dei lavoratori. Immagini di una Milano ormai dimenticata, oggi stravolta dalla modernità e dai paradossi della tecnologia. Una serie di foto che permetterà al pubblico di tornare alle origini del lavoro di Mulas, contestualizzando l’evoluzione di vent’anni di ricerca.

Le tre mostre sono state accompagnate da un unico catalogo che ha riprodotto il corpus complessivo dell’opera di Mulas.

OFF BROADWAY

L’estate 2006 del Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano propone Off Broadway, una collettiva di fotografia che si inserisce nel progetto Estate Fotografia, presente con due mostre anche a Palazzo Reale.
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Off Broadway è una parte di New York, tradizionalmente quella dove è nato e si è imposto il teatro alternativo. Nelle sue cantine, nei decenni passati, è nato un nuovo modo, diverso e più anticonvenzionale, di descrivere la realtà.
Off Broadway è anche il posto dove si sono ritrovano sei giovani fotografi di Magnum – Christopher Anderson, Antoine D’Agata, Thomas Dworzak, Alex Majoli, Paolo Pellegrin, Ilkka Uimonen – impegnati ognuno a raccontare in un modo diverso la loro realtà.
Off Broadway è un punto di osservazione privilegiato, ma non scontato; un modo laterale di guardare con un approccio diverso i conflitti, il paesaggio urbano, le calamità naturali.
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Off Broadway, infine, è stato il primo spazio dove i sei fotografi hanno deciso di raccogliere le loro forze, di mischiare insieme i loro sguardi e di organizzare per la prima volta una mostra che rispecchiasse questa nuova visione fotografica. Una mostra diversa nell’impostazione e nel contenuto, per vedere insieme sequenze di foto, reportage di guerra (Iraq, Palestina, Afghanistan, Cecenia, Etiopia e Kosovo) accanto ad altri brandelli e frammenti d’immagini raccolti in giro per il mondo.
Circa 300 foto e 6 grandi videoproiezioni, accompagnate da un commento musicale realizzato per l’occasione dal musicista Fabio Barovero, si sono rincorsi, si sono parlati da uno schermo all’altro e raccontati, se non proprio un “mondo nuovo”, un nuovo modo di guardare questo mondo e di esserci dentro.
Il mondo di Off Broadway.
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La mostra, concepita dai sei autori, è stata presentata per la prima volta a New York, nella 60 Mercer Gallery, durante la scorsa edizione dei Rencontres Internationales de la Photographie di Arles, e a Berlino, alla Leica and Rheinland-pfalz. Non è mai stata presentata in Italia. Qui hanno presentato delle immagini inedite, grazie al supporto della stampa digitale HP e al sostegno di Alcatel, con cui Contrasto ha collaborato in altre occasioni, nell’ambito del progetto Alcatel per la cultura.
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Le iniziative come le visite guidate sono state realizzate con il sostegno del Gruppo COOP Lombardia. Si è tenuta inoltre la decima rassegna di PAC in Concerto, con un programma di concerti di musica contemporanea legati ai contenuti della mostra, e alcune conferenze sul tema.
La mostra è stata realizzata con il sostegno di Alcatel e Hewlett Packard.
Catalogo a cura di Contrasto.
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IL DITO NELLA PIAGA | THE MORGUE

Il PAC di Milano ha celebrato l’estro creativo di un grande interprete dei nostri tempi – Andres Serrano – con un duplice appuntamento: la mostra Il dito nella piaga, a cura di Oliva María Rubio, in collaborazione con La Fábrica di Madrid, una selezione di alcune delle sue più significative fotografie degli ultimi vent’anni, e la mostra The Morgue, a cura di Alessandro Riva e realizzata in collaborazione con Tomaso Renoldi Bracco, dieci lavori inediti dell’artista tratti dalla controversa omonima serie fotografica del 1992. Immagini macabre e scioccanti a lungo tenute nascoste per volere dello stesso artista e che vennero presentate per la prima volta, in esclusiva assoluta, a Milano nel 2007.

 

Artista maledetto e grande provocatore: questa l’immagine che Serrano ha sempre dato di sé. In realtà, ad un’analisi più approfondita, la sua opera appare complessa e ricca di sfumature. Genio ribelle per eccellenza, Serrano esprime la sua critica nella sottile dicotomia che sottende le sue immagini fotografiche, patinate e perfette, terrificanti e trasgressive, rifiutando le finzioni del mondo contemporaneo e illustrandone i turbamenti interiori e le manie.
Dai suoi esordi – agli inizi degli anni ottanta – le fotografie di Andres Serrano (New York, 1950) non hanno mai smesso di rappresentare i temi più controversi e polemici del convulso mondo in cui viviamo. La religione, il fanatismo, la corporeità, la xenofobia, la malattia e la morte, sono stati oggetto della sua meticolosa attenzione in serie come Bodily Fluids, The Morgue, Nomads, Ku Klux Klan, The Church, A History of Sex… Ciò che sembra una forma di provocazione si manifesta come una vocazione: quella di trattare temi e problematiche che ci riguardano come esseri umani attraverso immagini che si distinguono, inoltre, per la loro bellezza. La bellezza è una componente essenziale del lavoro di Serrano. Attraverso di essa, l’artista intensifica la tensione che seduce lo spettatore con il fascino proibito dei temi tabù. Di fatto, Serrano ha confessato che il suo obiettivo come artista è sempre stato quello della bellezza: “Credo che sia necessario cercare la bellezza anche nei luoghi meno convenzionali o nei candidati meno insospettabili. Se non incontro la bellezza non sono capace di scattare alcuna fotografia”.

 

L’efficacia delle sue immagini trova riscontro nei meccanismi della pubblicità: il ricorso ad una illuminazione dichiaratamente caravaggesca, i colori accesi, la precisione dei titoli, e, soprattutto, l’uso di un linguaggio breve, ma sempre eloquente. Serrano non ha un interesse specifico per il processo fotografico; è, piuttosto, un formalista che si identifica fortemente con la tradizione e con i grandi maestri della pittura barocca, definendosi un artista religioso del passato con idee contemporanee.
Le sue composizioni sono rigorose e i simboli allegorici appaiono in ognuna delle sue serie fotografiche. Costruisce elaborati tableaux che adottano la qualità e il virtuosismo manierista dei grandi dipinti seicenteschi. Serrano non censura mai le sue foto e non scende mai a compromessi. Muovendosi sulla sottile linea che separa il sacro e il profano, il morale e l’immorale, il lecito e l’illecito, l’opera di Serrano ha evitato i limiti del puro decorativismo. L’artista travalica i confini del permissibile – tanto nell’ambito personale quanto in quello sociale – per adescare e sorprendere gli spettatori, mettendoli a confronto con immagini che, come primo impulso, farebbero chiudere gli occhi se non fossero presentate in modo bello e pittorico.

 

Le iniziative didattiche e le visite guidate sono state realizzate con il sostegno del Gruppo COOP.

ONE WORLD

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a cura di Giuliana Scimé
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One world un solo mondo od il mondo intero quello che René Burri ha percorso in oltre trent’anni di attività con la macchina fotografica.
Ed il viaggio non è stato solo attraverso terre di guerra e luoghi dove regna una pace (momentanea?), piccole notazioni di momenti di vita, paesaggi e città. Il viaggio di Burri è soprattutto nell’uomo, sempre diverso e pur sempre identico a se stesso e delle situazioni ambientali. Gli artisti nei loro studi, i politici alla ribalta, il povero soldato che non sa se sopravvivrà, gli innamorati ed i bambini, gli indifferenti sconosciuti, tutti i loro volti vanno a formare una lunga narrazione di passioni e sentimenti, di esperienze e di speranze. Il racconto di un intero mondo che è esplorato da René Burri con i diversi mezzi dell’arte: fotografia e collage che combina pazientemente ritagliando ed incollando pezzetti di carta. Il collage rappresenta una sorta di riposo dall’urgenza che obbliga l’uso della macchina fotografica, un’estensione meditata su ciò che ha visto e non ha potuto esprimere con la velocità dello scatto. Ed è anche un completamento culturale ed intellettuale.
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René Burri è nato a Zurigo nel 1933. Dal 1949 al 1953 ha frequentato la Scuola d’Arti Applicate di Zurigo. Dal 1956 fa parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos di cui è presidente per l’Europa dal 1982. I suoi reportages sono stati pubblicati dalle più importanti riviste del mondo: Life, New York Times, Paris-Match, Epoca, Fortune, Stern, Geo, Schweizer Illustrierte Zeitung…

L’IMAGINAIRE D’APRES NATURE

a cura di Giuliana Scimé
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L’imaginaire d’après nature è la più grande antologica che sia mai stata dedicata ad Henri Cartier-Bresson.
Realizzata appositamente per il PAC, la mostra comprende: 70 disegni, 10 tempere, alcuni dipinti a olio e circa 300 fotografie. Moltissime delle opere esposte sono del tutto inedite.
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Henri Cartier-Bresson, una leggenda nella storia della fotografia contemporanea, fin da ragazzo si dedicò allo studio del disegno e della pittura sotto la guida di Cotonet e André Lothe. La scoperta dello strumento fotografico fu per lui del tutto incidentale e come ama dire: “riprendo degli schizzi della realtà con un mezzo meccanico invece che con la matita” ed ancora “la fotografia è l’estensione di un mezzo plastico che si basa sul piacere di osservare e l’abilità di catturare il momento decisivo in una costante lotta contro il tempo.”
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Dalle dichiarazioni di Henri Cartier-Bresson e dall’osservazione diretta delle sue opere eseguite con mezzi espressivi diversi, si intende come la scelta dello strumento dell’arte sia in stretta relazione con le urgenze creative dell’artista.
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Nel caso specifico di Cartier-Bresson bisogna sottolineare che la pratica del disegno è la risposta – indagata dai vari autori e mai trovata – alla straordinarietà delle sue composizioni in fotografia di assoluto rigore geometrico. Infatti, la disciplina a cui si sottopone l’artista nell’organizzare sul foglio di carta bidimensionale i corretti rapporti del soggetto della rappresentazione è divenuta in Cartier-Bresson naturale attitudine anche alla pre-visualizzazione dell’immagine fotografica.
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La mostra antologica al PAC dedicata ad Henri Cartier-Bresson pone in confronto dialettico le reazioni emotive e sensibili dell’artista di fronte alla stessa realtà esterna, restituita e filtrata da diversi strumenti delle arti visive.
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GABRIELE BASILICO, MILANO RITRATTI DI FABBRICHE

Con questa la mostra fotografica viene esposta per la prima volta in modo esauriente la ricerca fotografica sull’area industriale milanese che Gabriele Basilico ha condotto dal 1978 al 1980, dalla quale è stato realizzato il libro “Milano, Ritratti di Fabbriche” con testi di Carlo Tognoli, Marco Romano, e Carlo Bertelli per la Sugarco Editore.
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Il lavoro di Basilico si caratterizza in due direzioni parallele:
1. Documentaristica, per l’ossessiva ricerca quasi a tappeto sull’intera area urbana, allo scopo di ottenere una “carta di identità” del tessuto industriale milanese.
2. Interpretativa, secondo un metodo di lettura che si avvale di particolari condizioni, fra cui la più importante è la scelta di una luce intensa e brillante che rivela l’architettura, trasformandone l’immagine quotidiana nella sua essenza.
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Le riprese fotografiche sono state realizzate in condizioni atmosferiche ed ambientali sempre omogenee: sole brillante e conseguenti ombre nette, nelle giornate festive senza auto e persone.
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Per la metodologia scelta, se non per la verità di intenti, il lavoro di Basilico può ricordare da una parte la ricerca di Eugene Atget nella Parigi di fine secolo o, come suggerisce Carlo Bertelli nella presentazione del libro Milano Ritratti di Fabbriche, l’esperienza statunitense di Walker Evans nell’ambito della Farm Security Administration e, per alcuni aspetti formali, i fotografi della “Neue Saehlichkeit”.
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Le fotografie esposte sono cento, di formato 30×40 cm. bianconero, scelte tra le oltre duecento presenti nel libro citato.
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WOMEN IN THE MAGIC MIRROR 1842-1981

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a cura di Giuliana Scimé, con la collaborazione di Lucilla Clerici

Women in the magic mirror è un ritratto della donna e del rapporto donna-società costruito con le immagini di 127 fotografi, dalle origini della fotografia ai giorni nostri. Ogni fotografia selezionata dalla ricchissima collezione privata di Bert Hartkamp ha il valore di una testimonianza dai molteplici significati:
– L’indagine psicologica, emotiva, estetica, narrativa, documentaria sulla complessità dell’essere femminile.
– La storia della fotografia attraverso le opere dei grandi maestri: Hill & Adamson, Le Grey, Rejlander, Cameron, Muybridge, Käsebir, Atget, Damachy, Kühn, Stiglitz, Steichen, Wetson, Lartigue, Man Ray, Kertész, Brassaï, Drtikol, Moholy-Nagy, Blumenfeld, Cunnigham, Brandt, Alvarez, Bravo, Cartier-Bresson…
– I contemporanei: Gibson, Klein, Avedon, Hosoe, Fujii, De Noijer, Vogt, Mapplethorpe, Saudek, Fontana, Izis, Boubat, Friedlander, Heinecken, Uelsmann, Gioli…
– L’evoluzione delle tecniche: dagherrotipia, ambrotipia, ferrotipia, stama all’albumina, al platino, al carbone, fotogramma… fino al processo istantaneo, alle manipolazioni ed agli interventi manuali.
– I generi fotografici: ritratto, moda, pubblicità, erotismo, fotogiornalismo…
– La cultura visiva e le scelte grafico concettuali nei diversi paesi: Francia, Italia, Inghilterra, Germania, Giappone, Ungheria, Olanda, Stati Uniti, Messico, Australia…

Una speciale sezione è stata dedicata agli oggetti: esemplari unici di oreficeria con incastonati dagherrotipi, ambrotipi e perle, brillanti e albums dipinti e ricamati a mano, cornici art nouveau e bottigliette di profumo.
Women in the magic mirror con il tema della donna è un’inesauribile fonte di sorprese e di scoperte: fotografie inedite di autori notissimi, fotografi del passati rimasti fino ad oggi ignorati, giovani speranze, processi fotografici che hanno goduto di un effimero favore ed altri del tutto personali ed originali.
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